Spettacoli
5 Novembre 2017
Marco Baliani racconta a Ferrara il suo "sconvolgente" laboratorio teatrale a Nairobi 

Un “pinocchio nero” per strappare i bambini dalla strada

di Redazione | 4 min

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di Federica Pezzoli

Secondo appuntamento con la prosa de “La società a teatro”, la rassegna ferrarese nella quale il linguaggio del teatro incontra la realtà del sociale. Nel suo “decimo compleanno” la scelta è stata di concentrarsi sul “tema delle differenti identità culturali”, ha spiegato in apertura Marino Pedroni, direttore artistico della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, uno dei partner del progetto insieme a Unife, Comune di Ferrara e Azienda Usl di Ferrara, con il coordinamento di Agire Sociale.

Ospite d’eccezione, venerdì sera al teatro Claudio Abbado, è stato Marco Baliani, uno dei maggiori esponenti del teatro di narrazione italiano, che diverse volte ha affrontato il tema delle identità e delle differenze culturali nel suo lavoro: dal progetto “I Porti del Mediterraneo”, allo spettacolo “Identità” con Lucia Maglietta e al più recente “Human” con Lella Costa. Per il pubblico ferrarese de “La società a teatro”, Baliani ha appositamente creato una narrazione-reading sull’esperienza del suo “Pinocchio nero”, creato con Amref con i ragazzi di strada di uno degli slums di Nairobi.

“E’ stata una delle esperienze più sconvolgenti della mia vita dal punto di vista personale e professionale”, ha detto Baliani parlando dei due anni di laboratorio teatrale – dal 2002 al 2004 – con i “chokora”, i bambini di strada di Nairobi, che passano le loro giornate a rovistare nell’immondizia in cerca di oggetti da rivendere per poi comprare colla da sniffare. “Non ho mai saputo quanti anni avessero di preciso: non avevano documenti come non avevano famiglie”, “nessuno li aveva mai toccati con affetto: non erano abituati al contatto, se qualcuno li toccava era per aggredirli”. Proprio da questa esigenza fondamentale di contatto umano Baliani è partito per creare il gruppo di 20 bambini, fra i 6 e i 10 anni, con i quali poi ha dato vita a “Pinocchio Nero”. La scelta è caduta sul burattino di Collodi perché “loro volevano conoscere una storia italiana” e perché, come alla fine Pinocchio diventa un bimbo vero, anche loro ce l’hanno fatta a recuperare un po’ di normalità, la loro identità e la loro dignità.

Un passo fondamentale dei laboratori, ha continuato l’attore, è stato la narrazione delle proprie cicatrici: “il primo giorno hanno raccontato quelle divertenti, almeno secondo loro”, poi sono passati a “quelle più tremende”, i segni per esempio delle sevizie in carcere: botte, ma anche violenze sessuali. “Di fronte alle esperienze che questi bambini avevano già vissuto durante le loro brevi vite era difficile ricominciare ogni giorno il nostro lavoro”. Ciò nonostante Baliani, insieme ad altri colleghi, è andato avanti per “vedere se il teatro aveva una forza d’attrazione tale da strapparli alla vita di strada”.

Una delle maggiori difficoltà è stata la mancanza di riferimenti comuni, il suo essere “straniero” in quella terra: “essere stranieri, diceva Camus, vuol dire arrivare in un luogo dove la memoria non serve più a niente. Ecco, così ero io, ero arrivato in un posto dove si contava in modo diverso, i gesti avevano significati diversi, dove ciò che sta intorno veniva percepito diversamente”. Per esempio, la Fata Turchina di Pinocchio per i suoi piccoli attori era un personaggio comico, non riuscivano a capire chi o cosa fosse: “li faceva morire dal ridere pensare a qualcuno che avesse lunghi capelli blu, per loro era solo qualcuno che faceva a Pinocchio promesse che non poteva mantenere”. Mentre “non li sorprendeva per nulla che un ceppo di legno potesse parlare, perché per loro gli spiriti sono ovunque e possono comunicare attraverso qualsiasi cosa”. E così alla fine insieme hanno deciso che la Fata sarebbe stata uno spirito, né maschio né femmina: “non si può mai pensare il pensiero dell’altro, ciò che è possibile è pensare dei pezzetti di pensiero e incontrarsi su questi”.

Ciò che affascinava di più i 20 piccoli attori era il rapporto fra Pinocchio e il suo “babbino” Geppetto: “un padre che ama suo figlio” e “un figlio che si occupa di suo padre” per loro “era sconvolgente”, ma d’altronde loro “non avevano praticamente mai avuto un padre”.

Alla fine “ce l’abbiamo fatta a toglierli dalla strada: ne abbiamo persi solo due su venti”, inoltre grazie alla circuitazione di “Pinocchio Nero” e di “L’amore buono” – lavoro successivo con adolescenti sulla piaga dell’aids in Africa – Amref è riuscita a creare a Nairobi “un centro di accoglienza per bambini di strada, dove vengono ospitati circa 400-500 piccoli”.

Il programma di “Società identità diritti: persone uguali|culture differenti”, questo il titolo dell’edizione Lst 2017 che prevede eventi e incontri da metà ottobre a metà dicembre, è diviso in tre sezioni: teatro, con spettacoli anche in orario mattutino per le scuole che “sono già esauriti”, ha affermato con soddisfazione Pedroni; danza, con il ciclo “Focus Africa” (ultimo appuntamento il 24 novembre con “Le cri de la chair” delle compagnie Seydu Boro); formazione, con una serie di incontri al Centro Teatro Universitario e nella sala teatrale del teatro Claudio Abbado per operatori del sociale, ma aperti a tutti i cittadini. Inoltre, grazie alla collaborazione di Ferrara Off, il programma prevede anche un ciclo di proiezioni cinematografiche, aggiungendo così il linguaggio dello schermo a quello teatrale per parlare attraverso l’arte di diritti e identità nella nostra società.

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