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31 Ottobre 2017
Mostra a Castelfranco Veneto fino al 4 marzo 2018

Le trame di Giorgione

di Paola Forlani | 5 min

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Si è aperta a Castelfranco Veneto, fino al 4 marzo 2018, una mostra dal suggestivo titolo Le trame del Giorgione a cura di Danila Dal Pos (catalogo Duck Edizioni), che presenta capolavori della storia dell’arte e del tessuto riuniti in Casa Giorgione con il compito di svelare una innovativa storia del costume. 

La “Pala di Castelfranco”, capolavoro primo di Giorgione, offre il naturale punto di partenza per una sontuosa esposizione che trova negli ambienti del Museo Casa Giorgione il suo fulcro. Per espandersi poi in diversi siti della Città Murata, destinati ad accogliere l’attualità della grande tradizione di tessoria della Serenissima di cinque secoli fa.

“Le trame del Giorgione” si presenta come una mostra affascinante e coinvolgente, ricchissima di capolavori e ancora più di storie e di nuove proposte interpretative.

Si muove nel doppio binario della storia dell’arte e della storia del tessuto, a comporre una originale storia del costume.

Una delle chiavi di lettura scelta dalla curatrice Dal Pos è quella allegorica, visione che consente anche di illustrare diversamente l’opera e la figura del Giorgione. Proprio a partire dalla Pala, opera di devozione certo, ma anche potente messaggio politico e allegorico.

La tavola è apparentemente tradizionale, sia per il tema della <<sacra conversazione>>, sia per la posizione simmetrica dei santi ai lati della Vergine. Anche l’altezza del trono ha dei precedenti: per esempio nella Pala di San Cassiano di Antonello da Messina, dipinta a Venezia nel 1475-1476, oltre che in opere di ambienti diversi, ma forse ugualmente note a Giorgione, come la Pala di Santa Maria in Porto dipinta da Ercole de’ Roberti nel 1481 a Ravenna.

Ma la posizione elevata della Madonna serve a Giorgione per darle il ruolo di tramite fra sacro e profano, fra l’intimità raccolta della zona anteriore dove sono i santi e l’apertura verso il mondo.

Anche il convergere delle linee prospettiche, apparentemente legato alla tradizione fiorentina, contribuisce a questo scopo, perché il punto di fuga, estremamente rialzato, si trova al di sopra del pannello che separa la zona anteriore da quella retrostante, in modo che il nostro sguardo va al di là del divisorio partecipando alla vastità spaziale.

Non vi è dunque nessuno scarto prospettico dovuto a inesperienza giovanile, come qualcuno ha sostenuto adducendo a prova che il basamento del trono è visto dall’alto e i braccioli dal basso, senza rendersi conto che ciò dimostra esattamente il contrario, perché la linea d’orizzonte si trova in un punto intermedio fra l’uno e gli altri.

Si è poi presunto di vedere in questa tavola un altro errore nelle misure della Madonna e del Bambino che sono sembrate troppo piccole rispetto ai santi.

Ma anche in questo caso non vi è errore. Semmai Giorgione ne ha aumentato le grandezze per evitare che l’applicazione scrupolosa e meccanica della legge prospettica le diminuisse al punto da far perdere loro il ruolo di protagonisti.

Si è anche creduto che le figurazioni fossero prima disegnate e poi colorate seguendo l’indirizzo rinascimentale fiorentino. Neppure questo è vero, o per lo meno lo è parzialmente. Perché solo l’impianto prospettico-architettonico è disegnato, o, meglio, è stato inciso con una punta sul gesso della preparazione secondo la tecnica usuale nel ‘400. Per il resto non esiste disegno: tutto è realizzato con strati di colori sovrapposti; il colore crea forme, gli spazi, le luci con i vari toni che assume.

Se la prospettiva lineare serve per realizzare lo spazio nell’ambiente al di qua del divisorio, al di là la distanza è indicata dalla disposizione dei colori, i quali non degradano, come in Leonardo, ma variano passando dalle tonalità più calde dei primi piani a quelle fredde dello sfondo. Certo, come già si è avvertito, il senso atmosferico che emana dal paesaggio è conseguenza delle ricerche di Leonardo, ma alla <<prospettiva aerea>> di quest’ultimo, Giorgione sostituisce, sviluppandola con maggior ampiezza, la <<prospettiva cromatica>> già attuata da Giovanni Bellini.

Dalle molteplicità dei toni riposanti nella morbida luce attenuata, dall’atteggiamento rilassato dei personaggi, dalla loro pensosità, dal distendersi del paesaggio silenzioso, nasce la dolce, sognante malinconia, il racconto intimistico tipici dell’animo giorgionesco.

La Pala di Castelfranco viene commissionata a Giorgione da Tuzio Costanzo, con l’obiettivo di rassicurare Venezia sulla sua volontà di stabilirsi definitivamente a Castelfranco, rinunciando così alle richieste inviate alla Serenissima di poter ritornare a Cipro a godere in qualità di figlio del vicerè dei suoi cospicui beni.

Quello di Castelfranco è un dipinto destinato alla devozione privata, non c’è la necessità di ambientare i personaggi in uno spazio monumentale, Giorgione li colloca in un’area esterna, un terrazzo pavimentato a scacchiera che si apre sul paesaggio, dal quale è però necessario separarli con una quinta di velluto rosso per conferire alla scena la solennità necessaria ad una celebrazione, quella appunto dei Costanzo, il cui stemma nobiliare è al centro della composizione.

Lo spiegamento di tessuti preziosi dal forte impatto cromatico, nell’opera, sono autentici “status symbol” dell’epoca che esibisce così la ricchezza e l’importante stato sociale di Tazio che non ha più motivazioni per tornare a Cipro. Ed ecco allora che accanto ai lucenti rasi di seta del manto e dell’abito della Madonna, si aggiunge la morbidezza del velluto unito di color cremisi del parapetto; e da questo tessuto complesso, lavorato a Venezia fin dal XIV secolo, Giorgione inizia l’esposizione di trame che rivelano via via una sempre maggiore abilità tecnica, e che quindi risultano sempre più preziose: dallo splendido velluto centrale verde, costruito con tre orditi, che comportano un utilizzo doppio di seta, oltre all’oro filato presente nella trama fino al velluto ancora più gradevole posto alle spalle della figura femminile, dove la seta impiegata è addirittura triplicata, e alla preziosità del filo d’oro si unisce qui anche il particolare effetto bouclé.

In mostra l’ultimo nucleo del percorso espositivo racconta la storia della manifattura tessile veneziana, in una narrazione ancora una volta sviluppato tra arte e raffinato artigianato ed è quello dedicato al ‘700. Qui, accanto ai ritratti, viene esibita la prestigiosa collezione tessile settecentesca del Duomo di Castelfranco, insieme con abiti, corpetti, guanti e borsette dell’epoca, provenienti da Palazzo Macenigo di Venezia.

Usciti dal Museo, il percorso raggiunge i “luoghi di Giorgione” nell’antico centro cittadino: il Duomo, la Torre Civica, lo Studiolo di Vicolo dei Vetri, la Casa Costanzo, la Casa Barbarella. In queste suggestive ambientazioni il pubblico viene invitato ad ammirare gli esiti attuali della grande tradizione veneziana della tessitura.

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