Spettacoli
9 Ottobre 2017
Al Festival Bonsai i sei lavori selezionati fra i partecipanti al bando nazionale di questa estate

Il micro teatro entra nel vivo

di Redazione | 4 min

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Dopo l’anteprima di sabato 7, domenica 8 ottobre il festival di micro teatro Bonsai – organizzato dall’associazione ferrarese Ferrara Off e Progetto Píndoles di Barcellona – è entrato nel vivo con i sei lavori selezionati fra i partecipanti al bando nazionale di questa estate.

Per tutto il pomeriggio, dalle 15 alle 19, Bonsai ha disseminato performers e pubblico in varie location del Quartiere Giardino: dalla Factory Grisù, una sorta di quartiere generale della rassegna, alla Sala Polivalente del Grattacielo, dal Centro Uomini Maltrattanti in piazza della Castellina alla sede della Contrada San Giacomo in via Ortigara, dalla pizzeria Lo Scaccianuvole all’appartamento Felloni in via Ticchioni. Diverse pillole di teatro e diversi linguaggi – teatro di narrazione, monologo, viedoeteatro e danza – per avvicinare tutti i tipi di pubblico, dai 6 anni in su.
Il primo del carnet è “Display”, del collettivo marchigiano 7-8 chili. In uno degli spazi ancora non finiti di Grisù figura reale del performer Davide Calvaresi e proiezioni su di un pannello si avvicendano come propaggini l’una dell’altra. Davide Almaresi alternativamente si guarda, spunta e si immerge in uno schermo che sembra simboleggiare lo schermo/monitor su cui ci affacciamo quotidianamente, limite che distorce e deforma la visione, fino a far diventare Davide una volpe artica, una mucca o uno struzzo. “Display” in modo ironico e giocoso indaga le possibili interazioni tra movimento scenico e immagine video e nello stesso tempo racconta l’inadeguatezza e l’isolamento dell’uomo contemporaneo, che da dietro una finestra, osserva e descrive il mondo. Alla fine però c’è spazio per una speranza: l’interazione fisica con un altro essere umano in fondo è una necessità imprescindibile per ciascuno di noi.

Segue, presso la Contrada di San Giacomo, il monologo “Perché, non posso?”: Tommaso cresce alternando l’iperprotettività e la mania del controllo della madre e la mancanza di fiducia del padre. Entrambi non perdono l’occasione per dirgli cosa non può fare, senza mai prestare veramente ascolto ai suoi bisogni e ai suoi desideri. Le conseguenze saranno purtroppo tragiche.

Oltre a questo lavoro di e con Domenico Vincenzo Tufano, la parola è al centro in “Rukelie”, scritto da Peppe Millanta e diretto e interpretato da Antonio De Nitto, e in “La barbiera”, di e con Elisabetta Salvatori.

Rukelie in sinti significa “albero”: era il soprannome del pugile zingaro Johann Trollmann, una delle vittime dimenticate del porajmos, il genocidio di sinti e rom perpetrato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Il 9 giugno del 1933 Rukelie stende l’ariano avversario, ma il nazismo non può tollerare un sinto sul trono dei pesi medi di Germania: la contesa dovrebbe finire in pareggio, eppure il pubblico non ci sta e Rukelie diventa il campione a furor di popolo. Piange “la gioia di quelle voci” che lo hanno acclamato, anche gli alberi hanno un cuore. Il regime coglie la palla al balzo e gli toglie il titolo perché le lacrime non sono degne di un pugile. Poi la Storia lo travolge: lo sterilizzano e lo deportano a Neuengamme, Rukelie scompare dietro il numero 721-1943. La grinta di un tempo tornerà solo contro uno dei kapò del campo: “non si può vivere di sole umiliazioni” e a volte la speranza si assesta insieme a un gancio sotto il mento dell’avversario. Ma nei lager non c’è spazio per la speranza: Rukelie morirà nel febbraio del 1943 ucciso a bastonate per la vendetta di quel kapò.

In piedi su un tappeto, proprio come se fossimo intorno al fuoco nel salotto di casa, Elisabetta Salvatori narra una storia che, a sua volta, le è stata narrata da una vecchia signora del suo paese, Forte dei Marmi, dove c’è una strada che si chiama “via della Barbiera”. È una storia di lavoro, povertà, di contadini e di marinai, di discorsi e racconti ascoltati sotto a un fico, prima di partire per cercar fortuna in Brasile.

Casa Felloni ospita “KitcheN”, dramma sonoro/performativo che racconta l’alienazione di una figura femminile confinata in una quotidianità distorta. I protagonisti sono i suoni/rumori prodotti dalle azioni di una performer che si muove a rallentatore fra il tavolo e la vetrina: dalla carta di giornale all’acqua versata dentro un bicchiere alle posate che scorrono sulla tavola, ognuno viene catturato, filtrato e amplificato in tempo reale da una musicista elettronica. È come assistere a una natura morta che si muove.

Nella Sala Polivalente del Grattacielo ci sono Sabrina Vicari e Federica Aloisio con la danza contemporanea di “Eoika”. La coreografia trae ispirazione dalle opere dell’artista tedesco Sebastian Bieniek, dall’estetica cubista di Picasso e dal surrealismo di Magritte. Il termine greco eoika significa “sono simile”, “sembra che io”. Un corpo che si duplica, si scompone, assume proporzioni diverse. Un corpo che si sorprende di se stesso, in un continuo cortocircuito identitario, inganna l’osservatore, gioca continuamente con lo sguardo dello spettatore.

Ora che i semi di Bonsai sono stati posti, l’appuntamento è a primavera, con la seconda edizione della rassegna, per vedere quali nuove specie di teatro e di spettatori il festival e i suoi organizzatori hanno in serbo per Ferrara.

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