(foto di Alessandro Castaldi)
di Marcello Celeghini
Di chi sono le colpe del prolungarsi della crisi economica? Come potere arginare il fenomeno della fuga dall’Italia dei suoi giovani laureati? Queste e altre domande sono state al centro della conferenza, nell’ambito di Internazionale a Ferrara, che ha avuto come protagonisti Marco Buti della Commissione Europea, l’economista britannico Tim Jackson e la giornalista tedesca Ulrike Hermann.
Quali misure poteva attuare la Bce per evitare lo shock prodotto in tutta Europa dalla crisi finanziaria? I tre relatori su questo tema hanno espresso opinioni diverse, se non a tratti contrastanti. “La Bce, ovvero il sistema centrale europeo – spiega Jackson – non ha colto le diversità culturali che sussistono tra i diversi paesi europei. È impensabile mettere in un unico calderone la situazione greca, la situazione italiana e quella degli stati nordici. Chi non coglie questo aspetto, va avanti per la strada sbagliata e rischia di creare disuguaglianze. Disuguaglianze che sono già evidenti e sfociano in rivolte popolari e politiche”.
Non secondario è il ruolo di supremazia della Germania che sovrasterebbe la stessa idea di uguaglianza alla base dell’Unione. “La Germania – ricorda la Hermann- sta sacrificando l’idea originale di Europa per il proprio interesse economico. I paesi deboli del mediterraneo sono costretti a comprare titoli tedeschi per rispettare i parametri e così facendo lo stato tedesco si sta risanando di tutti i debiti che aveva in precedenza”.
L’altro annoso problema che affligge in particolare l’Italia è la fuga dei giovani laureati verso altri paesi europei. “La mobilità dei giovani italiani verso l’estero, seppure in costante aumento, resta sufficientemente ridotta e controllata – sottolinea Marco Buti – e chi si focalizza su questo aspetto per creare pessimismo sbaglia. Il problema che merita la nostra attenzione è quello di come fare a creare le condizioni affinché i nostri giovani possano ritornare, magari ancora più formati di quanto non lo fossero quando sono partiti. Su questo aspetto occorrerebbe ragionare a livello politico su possibili riforme che favoriscano ciò. La fuga di cervelli crea anche un danno produttivo che va a ripercuotersi ulteriormente sulle spalle di chi rimane, essendosi questi ragazzi formati grazie ad investimenti pubblici attraverso la fiscalità generale”.
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