Eventi e cultura
11 Settembre 2017
Visite guidate in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica

Dal ghetto alla sinagoga, alla scoperta della Ferrara ebraica

di Redazione | 4 min

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di Federica Pezzoli

Un viaggio nella storia e nei luoghi della Ferrara ebraica: è stato quello offerto ai propri concittadini e ad alcuni turisti dai componenti della comunità ebraica estense nel pomeriggio di domenica 10 settembre, in occasione della diciottesima Giornata europea della cultura ebraica.

Tappa di partenza: l’edificio di via Mazzini 95, eccezionalmente aperto al pubblico, nonostante al suo interno siano finalmente iniziati i lavori post sisma 2012, che ha lasciato cicatrici visibili sulla struttura e che ha costretto la comunità chiudere il museo.

Qui ferraresi e non hanno appreso la storia della comunità cittadina, dalle prime tracce nel 1200, fino allo splendore del Cinquecento, quando grazie alla tolleranza della dinastia d’Este a Ferrara si incrociavano tutte le componenti della diaspora: dai tedeschi ai sefarditi ai levantini.

In quegli anni gli ebrei diventano quasi il 10% della popolazione, 2.500 su 35.000 ferraresi cristiani. I marrani qui tornano a professare la propria religione e in città si possono incrociare figure come il famoso medico Amato Lusitano e ‘la señora’, Beatrice De Luna, o meglio Gracia Nassi, erede dell’impero commerciale del marito, che aveva quasi il monopolio del commercio delle spezie prodotte dall’impero portoghese. Attiva nell’aiutare la fuga dei marrani perseguitati dal Portogallo, è soprattutto grazie a lei che Ferrara diventa il centro della produzione editoriale marrana e fra il 1552 e il 1553 a lei vengono dedicate due opere fondamentali: la “Biblia en lengua española”, la prima tradotta dall’ebraico e la “Consolazione delle tribolazioni di Israele”. Altra peculiarità del ducato estense è che gli ebrei possano essere iscritti alle corporazioni, che in tutto il resto della penisola erano loro precluse.

Una lunga storia ininterrotta di convivenza, pur fra alti e bassi, fino ai giorni nostri, tranne che per la tragica cesura delle leggi razziali del 1938, quando tutti gli ebrei vengono esclusi dalla vita cittadina. Per otto mesi, tra 1944 e 1945, a Ferrara non ci sono più ebrei: dopo l’ultima partenza per Fossoli e da qui per Auschwitz, l’edificio di via Mazzini, già depredato negli anni precedenti da incursioni di truppe fasciste, venne sigillato. Il censimento del 1938 aveva annoverato 700 ebrei ferraresi, le vittime della Shoah sono state 150, da Auschwitz sono tornati in cinque.

Nuova linfa per la comunità ferrarese sono stati, negli anno Sessanta e Settanta, l’arrivo di ebrei dai paesi arabi e, negli ultimissimi anni, il progetto del nascente Meis-Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah.

Poi, nella piccola sinagoga fanese, l’unica accessibile, dove gli ebrei ferraresi tengono i propri riti ogni shabbat e in occasione delle festività, si apprende della storia dell’edificio donato alla comunità alla fine del Quattrocento da Ser Mele, che vi aveva tenuto un banco feneratizio, ma solo a patto che venga usato per scopi comunitari e di culto. Una piccola curiosità: il portale ottocentesco all’ingresso dell’aula è stato montato a rovescio e la scritta in ebraico “I giusti vengano a me” che dovrebbe accogliere i fedeli all’entrata, diventa invece una sorta di monito che si legge all’uscita.

Infine storia e geografia urbana si intrecciano con la visita nelle strade dell’ex ghetto, istituito dai legati papali fra 1624 e 1627, quando cinque cancelli vengono eretti all’inizio e alla fine di via dei Sabbioni, via Vignatagliata e via Gattamarcia. Per poter alloggiare tutti gli ebrei ferraresi le case devono essere alzate di almeno un piano e nuovi vani devono essere costruiti nei cortili, mentre anche i vicoli che danno su via delle Scienze vengono sbarrati da nuove abitazioni, dando così origine a vicolo mozzo torcicoda e vicolo mozzo della vittoria.

Oltre a questo confine fisico, gli ebrei devono sopportare diverse altre restrizioni e obblighi, fra i quali quello di assistere alle prediche coatte, prima nella Cappella Ducale e poi, a causa dei disordini che ogni volta si determinavano, a Palazzo San Crispino, appena fuori dai cancelli. Almeno a questa umiliazione però avevano trovato il modo di sottrarsi: prima di uscire di casa si infilavano nelle orecchie tappi di cera in modo da non sentire le prediche dei frati. I cancelli cadono definitivamente con l’emancipazione e l’unità d’Italia: gli ebrei riconoscenti intitolano la via principale del quartiere a Mazzini e via Gattamarcia diventa via Vittoria.

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