Esco di casa.
Il tepore del sole sulle spalle, la leggera brezza sulle gambe nude sono sensazioni delicate ma fortissime, e i primi cento metri di corsa sono un flash quasi violento, inebriante e vorticoso, che mi fa oscillare tra un senso di esaltazione che sconfina nella vertigine e un timore sotterraneo, un inedito senso di fragilità che si localizza in particolare nella mia regione lombare.
Va bene che non mi è mai accaduto di non correre per due mesi consecutivi, ma non credevo che il rientro dopo un’astinenza podistica provocasse sensazioni così intense.
Mi sento come un paziente a cui viene fatto assaggiare un goccio di caffè dopo sei mesi di nutrizione parenterale; o come il classico tossico che torna a farsi dopo un lungo periodo di sospensione.
Fatto sta che quando raggiungo Luca al solito posto, appena dopo esserci abbracciati senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza) lui mi fa:
“Che faccia hai oggi! Tutto bene?”
“Benissimo, che meglio non si può” rispondo.
Ma mi rendo subito conto che, non vedendoci da un po’ di tempo, Luca non è al corrente delle mie vicissitudini degli ultimi mesi.
“E’ che è un pezzo che non corro” spiego “e oggi un po’ mi sento impacciato e un po’ mi sembra di toccare il cielo con un dito”.
“Ci credo” fa lui mentre percorriamo il cavalcavia della Prospettiva “ma perché sei rimasto fermo?”.
“Devi sapere che una bella domenica di maggio, finito di fare colazione, stavo facendo con Camilla il solito gioco del serpente…”
“Ossia?” domanda Luca con sguardo divertito.
“Mi contorco con movenze simil erpetologiche sul pavimento e lei scappa”.
“Però!” fa lui ridendo.
“La regressione è uno dei paradossali vantaggi della genitorialità” sentenzio per giustificarmi.
“Fatto sta che a un certo punto ho avvertito una violentissima fitta alla regione lombare. Ero letteralmente paralizzato dal dolore; pochi giorni dopo ho fatto una risonanza della colonna lombo sacrale…”.
“E che diceva il referto?”
“Te lo posso ripetere a memoria: ‘accentuata protrusione posteriore mediana – paramediana sinistra del disco intersomatico L4 – L5, ove concomita importante fissurazione dell’anulus fibroso’. In parole semplici, un inizio di ernia discale. Continuavo ad avere un male tremendo. E il morale sotto i tacchi”.
“Immagino!” fa Luca “altro che giocare a fare il serpente con Camilla…”
“E altro che correre!” aggiungo “figurati per me che tragedia. Ho chiesto consiglio all’amico radiologo che aveva eseguito l’esame, e mi ha suggerito di rivolgermi ad un fisiatra di sua conoscenza, a suo dire molto competente nelle problematiche sportive. Premetto che come tutti i medici sono un pessimo paziente; comunque il venerdì successivo, col passo irrigidito e sbilenco impostomi dalla necessità di mantenere la sola posizione vagamente antalgica che avessi trovato, varcavo la soglia dell’elegante studio del Collega”.
“Che tipo era?”.
“Una sessantina d’anni, sorridente, un po’ tarchiato, il camice chiuso sulla regimental, a contenere faticosamente una malcelata pancetta.
‘Ah piacere, tu sei il Collega di cui mi ha parlato Roberto, quello che fa il maratoneta’.
‘Diciamo che mi piacerebbe…’ bofonchio io, poco fiducioso.
‘Spogliati che ti visito’ e inizia ad assistere, senza muovere un dito, al penoso spettacolo del sottoscritto che non riesce a trattenere smorfie di dolore nel tentativo di arraffare i lacci delle scarpe.
‘Che poi la maratona’ aggiunge forse per stemperare l’imbarazzo della scena, ma guardandosi bene dal propormi un aiuto ‘sarebbe quelli che camminano in fretta, muovendosi in quel modo buffo…’.
‘Quella è la marcia’ replico con un filo di voce, concentrato come sono a sfilarmi i pantaloni.
‘Ah ecco’ risponde lui.
“Certo che per essere un fisioterapista che si occupa in particolare di sport non se ne intendeva molto…” dice Luca anticipando il mio pensiero.
“Esatto!” dico io “e nemmeno si è preoccupato di chiedermi ragguagli per porre rimedio alla sua ignoranza sulla disciplina che evidentemente mi stava a cuore.
‘Stenditi pure’ si limita a dire, schiaffeggiando di malavoglia l’aria per indicare il lettino alla sua destra.
Dopo di che inizia a visitarmi borbottando tra sé e sé, indifferente ai terribili dolori che mi evoca con la palpazione: ‘Senti qua, tutto contratto, tutto rigido, senti che roba’.
Al termine della tortura, mentre lui stropiccia il referto della risonanza e io combatto con i jeans, decreta: ‘Beh, è ovvio che devi smettere di correre. Prendi queste’ estrae da un cassetto una confezione di antidolorifici centrali ‘una alla mattina. Potrebbero darti un po’ di sedazione ma ti faranno passare il male. Ci vediamo tra un mese. In gamba, eh!’.
Siamo ormai dalle parti dello Scientifico, e la mia corsa si è fatta sciolta, naturale, restituendomi finalmente sensazioni per me normali.
“Che effetto ti ha fatto?” chiede Luca.
“La visita o la pastiglia?”
“Tutte e due”.
“La visita mi ha fatto rabbia. ‘Ma chi è questo’ mi dicevo ‘che non sa nemmeno la differenza tra maratona e marcia, e che tra l’altro è pure sovrappeso, per dire a me che devo smettere di correre? Si rende conto di cosa dice? Cosa ne sa di cosa rappresenta la corsa per me?’. La pastiglia ho provato a prenderla per un paio di giorni; ma mi faceva venire sonno e quindi ho smesso”.
“E allora come hai fatto?”
“Ero sempre più demoralizzato; Mascia, vedendomi così, mi ha suggerito di provare ad andare da un fisioterapista, che poteva avere un altro approccio alla questione. Ho chiesto consiglio a un mio amico podista, che aveva avuto tempo addietro il mio stesso problema, e mi ha dato un numero di telefono.
Questa volta mi ha accolto una donna all’incirca della mia età, sorridente e dall’aspetto atletico. Con mia grande sorpresa, prima ancora di esaminare gli esami radiologici e di visitarmi, si è messa a parlare con me. Mi ha chiesto come mi ero fatto male, che sport facevo, quanto lo facevo, perché mi piaceva. Le ho raccontato della frustrante visita fisiatrica, della ingiunzione per me inaccettabile a sospendere la mia attività sportiva preferita, e le ho confessato che quello che avevo sospeso era invece la terapia farmacologica. Lei si è limitata a sorridere, aggiungendo: ‘il nostro obiettivo è che tu torni a correre; vediamo come possiamo fare. Sicuramente dovrai imparare a fare degli esercizi prima e dopo la corsa, e può darsi che tu debba cambiare il modo in cui corri. Forse potresti imparare a correre meglio, o perlomeno a correre rispettando di più la tua schiena’.
“Questo mi sembra un buon discorso” dice Luca, mentre abbiamo ormai superato i tre quarti del percorso e ci avviamo al termine.
“Infatti; per un paio di mesi sono andato da lei; mi ha fatto dei massaggi e mi ha insegnato degli esercizi. E ora sto meglio”.
“Sei guarito!”
“Non direi: io sono sempre portatore di una ‘accentuata protrusione posteriore mediana – paramediana sinistra del disco intersomatico L4 – L5, ove concomita importante fissurazione dell’anulus fibroso’, la fisioterapista non mi ha guarito; ma mi ha insegnato a gestire il mio disturbo rispetto ai miei obiettivi. Quindi oggi riprendo a correre. E qualche volta, non senza una certa dose di prudenza, faccio ancora il serpente con la Camilla”.
“Camilla sarà contenta che tu abbia ripreso a giocare con lei, e io sono contento che tu abbia ripreso a correre con me” dice Luca “però…”.
Abbiamo terminato il nostro solito giro; appoggiamo le mani sull’alberone e iniziamo a fare qualche esercizio di stretching.
“Però…?” domando mentre osservo le gocce di sudore precipitare dal mio naso e formare dei piccoli cerchi scuri nel terreno polveroso.
“Però non prendertela, ma mi è venuto in mente il finale di ‘Caro diario’ di Moretti, l’episodio in cui parla di una sua malattia”.
“Ricordo vagamente. Ricordo che era stato curato per una orticaria e invece aveva un linfoma. Ma il finale?”
“Dice, più o meno: da questa vicenda ho imparato che i medici sanno parlare però non sanno ascoltare”.
Mi verrebbe subito da difendermi, per orgoglio professionale e personale; vorrei dire che non è vero, che non si può generalizzare, e che in particolare noi psichiatri è proprio dell’ascolto che facciamo il nostro strumento principale.
Sto per dirlo ma mi fermo.
Guardo i piccoli cerchi del mio sudore sul terreno polveroso.