Spettacoli
20 Luglio 2017
Le luci della centrale elettrica illuminano il penultimo concerto sotto le stelle

Vasco Brondi, un viaggio nella “Terra” senza lasciare Ferrara

di Elisa Fornasini | 3 min

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(foto di Alessandro Castaldi)

La prima volta che è venuto a Ferrara sotto le Stelle era uno ‘sbarbino’ (e sbarbato, ca va sans dire) al suo primo disco. Da allora sono passati 9 anni: la fama è aumentata, la barba è cresciuta, gli album sono diventati quattro e il bancone del Korova solo un ricordo. Stiamo parlando di Vasco Brondi che ieri sera nel cortile del Castello ha dimostrato la sua crescita artistica e personale che dalla nicchia ferrarese lo hanno reso uno degli artisti più interessanti della scena indie rock nazionale.

Il cantautore estense con Le luci della centrale elettrica ha abbandonato definitivamente la rabbia giovanile per darsi all’esplorazione dei ritmi del mondo, dai tamburi africani alla musica balcanica, dalle  melodie arabe e quelle popolari italiane. Un disco etnico che fa viaggiare in tutta la “Terra”, come recita appunto il titolo dell’ultimo lavoro discografico del ‘Blasco’ ferrarese accolto tra gli applausi del pubblico di casa sua.

Non a caso il concerto, il penultimo nel palinsesto di Ferrara sotto le Stelle, dopo Coprifuoco si apre con le danze tribali di Qui e Stelle Marine. “Sono contentissimo di essere qui, nel centro del centro della mia città, sono anche venuto a piedi quindi tutto è più facile e surreale” racconta Brondi dal palco, ripercorrendo le tappe della sua carriera: “Ho fatto grandi tour nella provincia ferrarese, nei bar e una volta anche in tabaccheria, ma sembrava impossibile superare la frontiera. Anche se ora suono in tutta Italia, quello rimane il tour più soddisfacente e difficile della mia vita”.

Ferrara non è solo la città che gli ha dato i natali ma è “il mio punto di raccoglimento, a volte faccio dei viaggi lontanissimi in posti esotici o città considerate il centro del mondo, eppure riesco a scrivere solo qui. Mi sono reso conto adesso della fortuna di crescere in un posto dove ci si annoia tantissimo, dove sembra che non succeda mai niente, per capire che se deve succedere qualcosa la devi far accadere tu”.

È il caso di Macbeth nella nebbia – ispirata ad Antonioni “che usciva con la nebbia fitta tra le quattro vie del centro perché era l’unico momento in cui non si vedeva niente e poteva pensare di essere altrove” -, Quando tornerai dall’estero e la sempre suggestiva La terra, l’Emilia, la luna. Il tempo di intonare Ti vendi bene e Questo scontro tranquillo, da cantare “felice da fare schifo”, che il Vasco nostrano lascia la chitarra per sedersi al piano dove propone I Sonic Youth, ricordando la storia di Alda Merini che aveva speso i 10 milioni di lire, raccolti per aiutarla negli ultimi anni di difficoltà economica, per comparsi proprio un pianoforte. Una cosa spirituale, direbbe un brano contenuto nell’album Costellazioni.

Il viaggio del mondo in otto accordi di chitarra non poteva che proseguire con il Waltz degli scafisti, Cara catastrofe e 40 km. Con Piromani, “canzone che ho scritto dieci anni fa quando lavoravo al Korova”, questa “città si trasforma in un’altra cazzo di città”. E tra un “addio, fottiti ma aspettami” si arriva a Un bar sulla via Lattea, I destini generali, A forma di fulmine per chiudere Nel profondo Veneto. Chi aspettava Per combattere l’acne o La gigantesca scritta Coop è rimasto a bocca asciutta, ma si allontana canticchiando il ritornello di Chakra. “Qualcuno mi ha detto che gli hai detto” che Ferrara non può fare a meno di Vasco Brondi, e Vasco Brondi non può fare a meno di Ferrara.

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