Cronaca
7 Marzo 2017
Il sequestro dei beni ai due coniugi imprenditori già condannati per un giro di false coop e consorzi nel settore della logistica

Dalle frode fiscale al sequestro di un patrimonio da 22 milioni di euro

di Daniele Oppo | 4 min

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«È il caso più eclatante di applicazione del ‘codice antimafia’ a Ferrara”. Così il colonnello Sergio Lancerin ha inquadrato il sequestro di beni finalizzato alla confisca per oltre 22 milioni di euro a carico di una coppia di coniugi imprenditori, di nazionalità marocchina.

I due – Bilal El-Mangar (41 anni) e la moglie Souad Mochrik (36 anni, con una laurea in economia) – erano già stati condannati dal tribunale di Ferrara per frode fiscale connessa alla gestione di alcuni consorzi – due dei quali con sede nel ferrarese – attivi negli appalti nel settore della logistica e del facchinaggio, attorno ai quali giravano circa trenta cooperative considerate fittizie (molte con sede a Trapani) e strumento per eludere il versamento dell’Iva. «Erano molto competitivi, danneggiando così le coop vere che non potevano proporre quei prezzi», spiegano le Fiamme Gialle. I due hanno anche avviato un’attività di logistica in Marocco fondando la società Lord Logistics.

Fra i beni confiscati, c’è anche la villa moderna e di grande pregio architettonico, il grande parallelepipedo bianco con piscina situato tra via Pannonio e via Zanatta (zona Cus), famosa anche per essere appartenuta all’imprenditore Giuseppe Chiarolla, noto alle cronache per i suoi guai con il fisco. Non solo, tra i beni confiscati c’è anche un complesso residenziale da venti appartamenti in provincia di Forlì-Cesena, dal valore di tre milioni di euro, villette a schiera e appartamenti a Copparo e Poggio Renatico ma anche nelle province di Rovigo (Occhiobello e il capoluogo), Modena e Roma (zona Saxa Rubra). Oltre agli immobili, nella disponibilità della coppia c’erano anche quote societarie (a Modena è stata sequestrata un’impresa del settore dei servizi), crediti, auto, furgoni e autocarri.

Secondo le risultanze investigative dell’operazione “Blanca”, i due avrebbero usato lo stesso schema utilizzato nell’attività di logistica: si sarebbero avvalsi di prestanome – quasi tutti italiani in una situazione economica poco brillante – a cui venivano intestate società immobiliari che detenevano ville e appartamenti. «Il difficile – spiega il colonnello – è stato trovare i collegamenti tra i due soggetti e le scatole, gli immobiliari, in gran parte persone che non sapevano neppure dove fossero situati i beni che detenevano e che messi sotto pressione hanno collaborato».

I due coniugi “avevano accumulato un patrimonio sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati”, spiega ancora Lancerin. Dal 2007 – anno in cui hanno iniziato le proprie attività in Italia – al 2016 hanno dichiarato in tutto circa un milione di euro, a fronte di patrimoni detenuti direttamente o indirettamente, dal valore stimato di 22,2 milioni di euro.

Il sequestro – misura preventiva applicabile a chi vive in tutto in parte di proventi illeciti e ha un patrimonio sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati – era stato chiesto già nel gennaio 2016 al tribunale di Rovigo, che però si era dichiarato incompetente. La misura è stata poi autorizzata a Ferrara dal giudice Alessandro Rizzieri a fronte delle forti risultanze investigative presentate dalla Finanza e dalla procura.

«Questo è solo il primo passo – spiega Lancerin -, c’è un procedimento che si fonda sul confronto tra accusa e difesa». E, infatti, la difesa dei due coniugi annuncia già ricorso con udienza fissata per metà marzo: «Cercheremo di smontare punto per punto le accuse – spiega l’avvocato Pasquale Longobucco -, portando all’attenzione del tribunale tutta una serie di elementi che mostrano come l’intestazione dei beni non sia fittizia». Nel pomeriggio l’avvocato aggiunge una nota: «Ritengo inappropriato fare una conferenza stampa, mostrare video e foto, dandoli in pasto ai media, rispetto ad una attività investigativa che riguarda un procedimento che per sua natura dovrebbe essere caratterizzato dal può rigido riserbo. Fare delle riprese, che ritraggono beni oggetto di sequestro, indire una apposita conferenza stampa in cui si fanno nomi e cognomi, ritengo, sia operazione non corretta e che dovrebbe far riflettere, sulle conseguenza che ne possano derivare in termini di dignità personale e di rapporti lavorativi. Soprattutto in relazione a persone che potrebbero risultare completamente estranee alla vicenda processuale. Quanto ai sequestri – conclude il legale – la difesa si è già attivata per far valere tutte le ragioni nelle sedi competenti».

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