Eventi e cultura
6 Marzo 2017
Sul palco del Tag Festival lo stereotipo del gay nel cinema popolare degli anni ’70

Finocchi come prezzemolo: la macchietta dell’omosessuale

di Redazione | 3 min

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di Silvia Franzoni

Tutti paillettes e piume, polso molle e camminata effeminata: la macchietta dell’omosessuale nel cinema italiano negli anni ’70-’80 ha cristallizzato uno stereotipo che ritroviamo ancora oggi nelle parole di politici e politicanti. ‘Ne avete finocchi in casa?’ si chiedeva Totò in Sua eccellenza si è fermata a mangiare (1961): in paese, e sullo schermo, sicuramente sì.

Nel cinema popolare italiano, dagli anni ’60 in poi, i finocchi sono come il prezzemolo: “ce n’è per tutti i gusti, la checca creativa, il provolone di mezza età, il professionista con il vizietto, il domestico balia, il travestito”.

Parola di Andrea Meroni, giovane regista del collettivo universitario Gay Statale che alla rappresentazione dell’omosessuale sul grande ha schermo ha dedicato un documentario. Si intitola ‘Ne avete finocchi in casa?’ ed è questo il vero ospite, e il fil rouge, della giornata conclusiva del Tag Festival, l’appuntamento di cultura Lbgt promosso da Arcigay, Arcilesbica, Agedo e Famiglie Arcobaleno.

L’omosessuale-buffone “è una scorciatoia per far ridere”, una maschera che il grande schermo ha fatto indossare ad attori – e ha lasciato addosso – per molto tempo. E se ha forse aiutato il pubblico eterosessuale a prendere consapevolezza di un mondo diverso dal proprio, di certo non ha aiutato “i giovani omosessuali che in quelle macchiette non si identificavano affatto”, ricorda Meroni.

Il carattere ha rimbalzato di film in film, riecheggiando del gusto della commedia dell’arte. Uno stereotipo, anche perché “solo questo permetteva la censura democristiana, solo la macchietta”, spiega lo storico del cinema Maurizio Giori. Poi, dal 1959, da una radice comune si cominciano a formare due filoni: “se nella commediaccia popolare l’omosessuale ha continuato ad essere il giullare che strizza l’occhio ad un mondo tutt’altro che realista, nel cinema d’autore andava peggio: l’omosessuale era l’infelice e poi il redento”, evidenzia il critico cinematografico Maurizio Porro. La convergenza? “Lo stereotipo dell’omosessuale pederasta, alla ricerca continua di amanti”.

Così intere generazioni di omosessuali sono rimaste senza figure-modello. Perché lo stereotipo era ben preciso, e quando non presentasse i tratti del giullare vestiva i panni dell’omosessuale solo temporaneamente: bastavano dei seni a farlo rinsavire, a riportarlo all’interno dei confini del lecito. Qualora non funzionasse, allora ecco il trasferimento in Olanda – come in Dio li fa poi li accoppia, 1982. Persino per il primo personaggio omosessuale dotato di una certa estetica – “perché la bellezza è chiave dell’identificazione” – bisogna pazientare non poco. Arriva nel 1979 con il film di Steno La patata bollente, un punto di svolta. Ma una svolta neanche così decisa. “Il film di Steno porta sullo schermo una crisi, quella della sinistra e dell’incompatibilità tra comunismo e mondo omosessuale: ma è ancora un film comico e volgarizzato, raccoglie lo spirito che cambia, ma il gay resta quello che è stato: una macchietta”, spiega Giori.

Quella macchietta è ancora oggi ad uso del cinema, nonostante si assista al moltiplicarsi di rappresentazione più varie – e più vere, normali insomma – delle storie di omosessuali. “Quei film erano brutti, di un genere infimo”, ricorda Porro, “ma hanno incassato milioni”; erano il simbolo “di un’Italia puberale con un fortissimo ritardo culturale, di cui risentiamo ancora oggi”, gli fa eco Giori.

A ‘Ne avete finocchi in casa?’ manca però ancora un capitolo, quello conclusivo. “Non voglio criminalizzare la macchietta, vorrei però aggiungere un mosaico di opinioni e giudizi odierni”, spiega Meroni. Così la telecamera si sposta sul pubblico ferrarese che è chiamato ad intervenire. Ed è curioso come parte del documentario si giri proprio nella città che 74 anni fa ospitò le riprese del – forse – primo film con un personaggio omosessuale: “era L’Ossessione di Visconti, e sapete cosa? I sacerdoti facevano benedire la sala prima di proiettarlo”, ricorda sorridendo Porro.

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