Perego: “Volontariato risorsa importante dentro la città”
Il vescovo Gian Carlo Perego e il presidente di Cittadini del Mondo Adam Atik a margine del Festival della Progettazione Europea ospitato dall'Università di Ferrara
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Per il Palio di Ferrara quello che va ad iniziare sarà il weekend delle bandiere, dedicato a sbandieratori e musici delle otto contrade, uno spettacolo di suoni, colori e coreografie capace di esaltare la scuola di bandiera estense, rinomata in tutta Italia, e di portare in scena uno show di rara bellezza
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Una dotazione finanziaria complessiva di 830.721,41 euro, che a livello distrettuale consente di soddisfare circa 450 domande sulle 604 ammesse in graduatoria. Da oggi anche sul sito del Comune di Ferrara sono pubblicati i riferimenti alla graduatoria definitiva relativa al Fondo Affitto 2024
Nelle sue vene non scorre sangue ma intagli e intarsi. La sega circolare e la piallatrice sono una estensione naturale del suo braccio. Insomma, “la falegnameria ce l’ho nel dna”. E’ il gene, quasi scomparso, che caratterizza la vita e l’operato (che poi, in fondo, sono la stessa cosa) di Giuliano Masotti.
Masotti è l’ultimo falegname rimasto in centro storico. Anzi, era. Dopo 50 anni di onorato e apprezzato servizio, infatti, è pronto a chiudere bottega e andare ufficialmente in pensione. E così, con la fine dell’officina in via Frassoldati 19, si conclude ufficialmente l’era dell’artigianato del legno dentro le Mura estensi.
“Quando ho iniziato c’erano falegnami e artigiani dappertutto, in Piangipane, corso Isonzo, Capo delle Volte, Gioco del Pallone… perfino in Kennedy, anche se ora non si direbbe” ricorda Masotti con un pizzico di nostalgia. E’ rimasto l’ultimo erede di “un’arte che si è persa”, ma pensare che “non ci sia più la tradizione del saper fare manuale è deprimente”.
Un mestiere d’altri tempi. Ma quando si entra nel suo laboratorio, sembra proprio che il tempo si sia fermato ad allora. “Ho iniziato a pulire la bottega a 12 anni e, quando sono tornato dal servizio militare nel ’68, ho cominciato a lavorare qui, che all’epoca era la sede della ditta Zambotto e Poletti – racconta Masotti -. Nel ’77 si sono ritirati in pensione e così io e il mio collega più giovane, Gianfranco Felloni, abbiamo formato una nostra società. Lui ha lasciato nel ’96 ma io non me la sentivo ancora e così ho formato un’altra società con mia moglie che fa la sarta”.
L’attività è andata avanti fino ai giorni nostri. Ora Giuliano ha compiuto 70 anni e ha deciso di andare meritatamente in pensione, ma non ha perso un truciolo della sua passione. Una vita dedicata alla costruzione di mobili, al restauro degli arredi e alla manutenzione di porte e finestre di scuole, uffici e musei.
“Ho sempre collaborato con il Comune per la manutenzione dei beni monumentali come Schifanoia, Diamanti, Ariostea, Bonacossi… – elenca Masotti, mostrando con orgoglio le fotografie dei suoi lavori -. L’opera di cui vado più fiero è il restauro degli imponenti mobili del ‘700 esposti a palazzo Bonacossi”. Ma c’è il suo zampino in tante piccole chicche della città, dalla porta del monastero di San Giorgio agli ingressi della Sala dei Mesi, fino ai banchi della sala consiliare del municipio.
Nella sua bacheca dei ricordi trionfano il riconoscimento San Giorgio alla fedeltà al lavoro, consegnatogli dalla Camera di Commercio di Ferrara nel 2002, e il diploma di maestro artigiano, conferitogli dall’Accademia dei Maestri Artigiani di Ferrara nel 2011. Gli occhi gli brillano davanti alle pergamene, ma ancor di più di fronte alla sedia in noce (legno pregiato e ormai praticamente introvabile) con intarsi di ciliegio che sta ultimando per sua figlia, la “vera gioia della mia vita”.
Masotti, infatti, non è intenzionato ad appendere al chiodo i ferri del mestiere. Né a vendere il suo laboratorio o le sue attrezzature “che per tutti valgono a peso di ferro vecchio ma per me sono tutto”. “Quando mi stanco di stare a casa vengo qui a fare piccoli lavoretti per me o per la mia famiglia – conferma l’artista -; questa vecchia bottega mi ha dato tante soddisfazioni e rimarrà così fino a che sarò in vita”.
Dopo di lui non ci sarà nessuno a prendere il suo posto. “Mia figlia ha scelto un’altra strada (è diventata antropologa e docente a Unife, ndr) e non ho trovato nessun apprendista a cui tramandare il mio insegnamento. E’ un peccato perdere le tradizioni, ma nessun giovane è interessato a imparare questo mestiere. Una volta stavo spiegando il mio lavoro a una classe e un ragazzo ha risposto che l’è un mestier vec”. Un’arte per pochi, un’arte perduta.
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