
Leonardo Trombelli
Il Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio delle Malattie Parodontali e Peri-implantari dell’Università di Ferrara (direttore Leonardo Trombelli) e il Reparto di Parodontologia dell’Università di Bologna (Luigi Checchi) hanno recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Periodontology uno studio che segna una tappa importante di un filone di ricerca alla quale il professor Trombelli e il suo gruppo si dedicano da ormai 10 anni: la valutazione della prognosi parodontale ai fini di personalizzare la prevenzione secondaria della parodontite (uno delle malattie più diffuse a livello mondiale).
La ricerca, peraltro, ha già ricevuto nel 2016 un importante riconoscimento da parte della comunità scientifica con l’ottenimento del premio “H.M. Goldman” per la migliore ricerca clinica in parodontologia da parte della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (Sidp).
L’interesse di Leonardo Trombelli e del suo gruppo di ricerca per il rischio parodontale nasce nel 2007, quando l’Università di Ferrara elabora un metodo oggettivo per la valutazione della prognosi parodontale. Nel 2007, infatti, è stato elaborato e pubblicato un sistema che, sulla base delle informazioni relative ai maggiori fattori e indicatori di rischio della parodontite, consente di obiettivare la prognosi parodontale del paziente. Nel 2009, poi, lo stesso gruppo di ricerca ha dimostrato come il metodo possa costituire uno strumento più semplice ed altrettanto accurato rispetto ad altri già disponibili.
Spiega il professor Trombelli: “In parodontologia, essere a rischio per la parodontite significa avere una maggiore probabilità di sviluppare la malattia (se si è parodontalmente sani) o di subire una progressiva distruzione del sostegno parodontale (gengiva e osso) e conseguente perdita di denti (se si è già malati). In altre parole, i soggetti che presentano un livello di rischio elevato hanno, in assenza di trattamento, maggiori probabilità di peggioramento del proprio stato parodontale rispetto a pazienti con rischio basso, con conseguente aumentata probabilità di perdere i denti”.
“II metodo proposto dall’Università di Ferrara – prosegue Trombelli – è basato su 5 parametri, tra cui fumo e diabete mellito, segni clinici della malattia con riconosciuto valore prognostico (numero di tasche parodontali, indice di sanguinamento) e parametri derivati (rapporto tra denti con perdita ossea ed età). A ciascun parametro viene assegnato un punteggio (tabelle 1-5), e la somma algebrica dei punteggi viene calcolata e associata al di rischio del paziente, che può variare da 1 (rischio basso) a 5 (rischio elevato) (tabella 6)”.
Nello studio pubblicato, le Università di Ferrara e Bologna hanno condotto una valutazione longitudinale della associazione tra i punteggi di rischio generati in accordo al metodo UniFe e la progressione della parodontite. Per lo scopo, sono stati ottenuti dati relativi ad un’ampia coorte di pazienti sottoposti a terapia parodontale attiva presso i due Atenei, e successivamente inseriti in un programma di prevenzione secondaria della durata di almeno 4 anni (media di 5.6 anni).
I dati pubblicati mostrano come la perdita media di elementi dentari in corso di terapia di mantenimento sia stata positivamente associata al livello di rischio identificato con il metodo dell’Università di Ferrara all’inizio della programma preventivo. I pazienti con livello di rischio basso hanno, infatti, non avuto una perdita di denti, mentre i pazienti con livello di rischio elevato hanno avuto una perdita media di circa 2 denti.
Nel loro complesso, i dati dimostrano che il metodo proposto dall’Università di Ferrara costituisce uno strumento di rapido e semplice utilizzo per l’identificazione dei pazienti a rischio di perdere denti durante la terapia parodontale di mantenimento.
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