
Charlotte Perkins Gilman
Il secondo incontro del ciclo “Donne, alieni e macchine nelle scrittrici di fantascienza”, presso la biblioteca del centro Documentazione Donna (via Terranuova 12/b,Ferrara) si terrà domani (giovedì 24 novembre) alle ore 17, dedicato a un classico delle utopie femministe.
Dalla “Preziosa” Madeleine de Scudéry con la sua Carte de Tendre, a Donna Haraway con il Manifesto Cyborg, molte sono le scrittrici che si possono iscrivere nel ricco anche se misconosciuto filone delle utopie femministe; il romanzo Herland di Charlotte Perkins Gilman ne è forse l’esempio più noto.
Scritto nel 1915 e pubblicato dapprima a puntate sul periodico «The Forerunner», diretto dalla stessa Charlotte Perkins, Terradilei è una divertente satira del mondo a lei contemporaneo e una prefigurazione di un mondo diverso e possibile. Un mondo di sole donne che hanno dato vita a una società in cui non esiste sopraffazione e l’ordine sociale viene mantenuto attraverso la persuasione e il consenso, in cui esiste un genuino senso della comunità, in cui la natura è incontaminata perché scienza e tecnologia sono al servizio di bisogni reali e non creati da gruppi industriali.
Charlotte Perkins Gilman (1860-1935) è stata una teorica femminista autrice di un gran numero di testi d cui il più importate è Women and Economics, approfondita analisi dei rapporti tra donne e economia. Women and Economics non è stato mai tradotto in italiano, come pure la maggior parte dei suoi scritti. Versioni italiane esistono di Terradilei (pubblicato negli anni settanta da La Tartaruga e recentemente, 2015, ripubblicato con testo a fronte da La Vita Felice) e di “La carta da parati gialla racconto” (pubblicato anch’esso da La Tartaruga) in cui l’autrice si ispira a un periodo della sua vita in cui venne costretta all’ozio totale dal medico consultato dal suo primo marito per guarirla dalla depressione col risultato di portarla vicino alla follia.
Malata di cancro, la scrittrice si suicidò nel 1935 lasciando queste ultima parole: «Non c’è dolore, pena o disgrazia che giustifichi il togliersi la vita fino a che si può essere utili. Ma quando questa possibilità ci è tolta, quando la morte è vicina e inevitabile, è un elementare diritto umano scegliere una morte facile e veloce al posto di una lunga e orribile… Ho preferito il cloroformio al cancro».
Giulia Fabi, americanista, dopo essersi specializzata all’università di Berkeley (California) dove ha tenuto per anni dei corsi, ha insegnato all’università di Roma 3 e ora è docente presso l’università di Ferrara. È autrice di molti testi tra cui ricordiamo America nera: la cultura afroamericana (Carocci), Volo di ritorno, antologia di racconti afroamericani (Le Lettere). Ha curato Sabbie mobili di Nella Larsen, Danza per una vedova di Paule Marshall, La stanza di Giovanni di James Baldwin, Legami di sangue di Octavia Butler, tutti editi da Le Lettere, e Narrazione della vita di Frederick Douglas, uno schiavo americano, scritta da lui medesimo (Marsilio).
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