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28 Ottobre 2016

Noi no, noi siamo persone per bene

di Francesca Boari | 4 min

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“E dunque da questa prima via di ricerca ti tengo lontano, ma, poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando, uomini a due teste: infatti, è l’incertezza che nei loro petti guida una dissennatamente. COSTORO SONO TRASCINATI, SORDI E CIECHI A UN TEMPO, SBALORDITI, RAZZA DI UOMINI SENZA GIUDIZIO, dai quali essere e non essere sono considerati la medesima cosa e non la medesima cosa, e perciò di tutte le cose c’è un cammino che è reversibile” (Sulla natura, fr.6, vv. 1-9, Parmenide)

Non sono sbalordita dagli ultimi fatti di Gorino, tanto discussi in queste ore. E’ una deriva annunciata.

Annunciata da un paese culturalmente allo sbaraglio e politicamente abbandonato. Un paese in cui davanti all’indifferenza, nel migliore dei casi, quando non si traduce in odio razziale oppure in facile buonismo, accadono fatti di estrema gravità. Una gravità che non si risolve con parole ad effetto per i “15 minuti di celebrità”.

Non è mia intenzione fare considerazioni politiche a livello nazionale, probabilmente non avrei sufficienti strumenti di conoscenza e rischierei di cadere nel pressapochismo di cui siamo già abbondantemente allagati.

Mi interesso della realtà socioculturale della mia città, della città in cui sono nata e che non ho mai abbandonato, nella quale ho sempre cercato di diffondere, certo in pillole, il mio senso etico, l’irrinunciabile interessamento all’altro, l’unico senso possibile della politica. Riferendomi all’editoriale di Marco Zavagli, mi chiedo in quanti di noi ricordino Said Belamel, della madre che ritira il figlio dall’asilo dove lavora una assistente affetta da sindrome di down, del medico vicepresidente dell’Ordine che la sostiene “perché i down devono stare in cucina e non a scuola”.

E che dire dei commenti di esultazione folle e senza giudizio, dei brindisi virtuali e non solo, di fronte al suicidio di un nigeriano, completamente ignorato dalla comunità ferrarese, anche a seguito di una mia personale richiesta, a nome della comunità di Sant’Egidio di Roma, di dedicargli una camminata, una pacifica fiaccolata a dimostrazione dello sdegno nei confronti di quelle affermazioni scellerate di alcuni concittadini? Certo nessuno si oppose ma l’iter da seguire sarebbe stato talmente lungo che alla fine prevalse la dimenticanza, la superficialità, la noncuranza. E intanto una bestia potente e generatrice nella storia di mostri atroci cresce intorno a noi e dentro di noi, divora l’ultimo buon senso, l’ultima lacrima, una capacità di com-passione che rende l’uomo persona e lo distingue dall’essere semplicemente animale.

Si assiste, oramai inermi, sporchi di pressapochismo e luoghi comuni, al precipitare in abissi che il tempo e la storia hanno già abitato.

“Non me ne frega un cazzo, se la prenda in casa il prefetto”, riferito ad una donna all’ottavo mese di gravidanza, è l’ennesima riprova che siamo dentro il buio del non ritorno. Tra qualche giorno non se ne parlerà più. Tranquilli tutti. Potremo tornare nelle nostre case calde e pensare che è colpa del governo, di Renzi, della Boldrini. O di chiunque, ma sempre al di fuori. Noi no, noi siamo persone per bene. Noi siamo solo spaventati. Talmente spaventati da non dare ospitalità a donne e bambini che fuggono alla ricerca della felicità, o semplicemente di pace. Abbiamo paura. E in fondo anche le parole di comprensione del presidente del Consiglio ci confortano.

Non sono pensieri quelli espressi dalla comunità di Gorino, non sono parole di senso quelle degli uomini a due teste. Nessuna comprensione, caro presidente, nessuna tolleranza. Bisogna agire, non aprendo le porte delle case, non preoccupatevi, certo non può essere questo il modo di affrontare l’urgenza del fenomeno migratorio di questi tempi. Agire in una direzione di senso. Agire culturalmente. Agitare le menti dei dormienti, fare loro intendere che non è affatto detto che “di tutte le cose c’è un cammino che è reversibile”. Le parole hanno peso e l’indifferenza genera mostri esattamente come l’ignoranza. Indifferenza e ignoranza stanno passando davanti ai nostri occhi senza vergogna.

Chiudo questo mio piccolo intervento ricordando cosa scriveva S. Freud a proposito della natura umana e lascio ad ognuno le sue riflessioni.

“L’uomo vede nel prossimo non soltanto un eventuale soccoritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui può anche sfogare la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, UMILIARLO, FARLO SOFFRIRE, TORTURARLO E UCCIDERLO. Homo homini lupus: chi ha il coraggio di contestare quest’affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della storia?” (Freud, Il disagio della civiltà, in Opere, Boringhieri, Torino, 1968-1993, vol X, p599)

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