Orgoglio Centese: “Sì al merito, no alla propaganda”
Il gruppo consiliare Orgoglio Centese, composto da Elisabetta Giberti e Matteo Veronesi, interviene per fare chiarezza sulle decisioni prese nell’ultima seduta del Consiglio comunale
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Per oltre vent’anni le è stata negata una vita normale. Quindici anni dopo la trasfusione di sangue infetto ha scoperto di avere l’epatite C. Ora, a 36 anni di distanza da quella trasfusione, un tribunale le ha riconosciuto il diritto a un indennizzo.
La vicenda riguarda una donna di Finale Emilia (in provincia di Modena) di 63 anni che nell’estate del 1980 è ricoverata nell’ospedale SS. Annunziata di Cento. Qui le vengono praticate delle trasfusioni di sangue infetto. Aveva 27 anni.
Solo nel 1995 scopre di essere positiva al virus epatico. Nel 2005 la malattia evolve in una grave patologia epatica che distrugge la vita sua e quella dei suoi familiari.
Assistita dall’avvocato Renato Mattarelli, legale specializzato nei danni alla persona da responsabilità medico-sanitaria e in particolare nei danni da trasfusione di sangue infetto, cita il ministero della Salute davanti al tribunale di Modena. Il giudice le dà torto, sostenendo che la domanda sarebbe stata intempestiva.
“Per questi indennizzi – spiega Mattarelli – il termine è di tre anni, che decorre dal momento in cui la persona viene a conoscenza del danno. La domanda di indennizzo viene presentata nel 2007, mentre l’infezione risale al ’95. Secondo il giudice di primo grado la mia assistita ne era a conoscenza già da allora. Noi abbiamo sostenuto invece che i tre anni non decorrono dal momento in cui si viene a conoscenza della malattia, ma dal momento in cui si viene a conoscenza del collegamento tra quella trasfusione e la malattia. E la signora lo scopre solo nel 2005, quando esamina la cartella clinica di allora”.
La Corte di Appello di Bologna accoglie questa tesi e rovescia la sentenza di primo grado condannando il ministero della Salute ad erogare gli arretrati dei ratei mensili dell’indennizzo a partire dal gennaio 2007 (circa 100mila euro con gli interessi legali). Stando ai tempi standard, il risarcimento arriverà tra un paio di anni. Per il resto della sua vita saranno invece l’Asl di Modena e la Regione Emilia-Romagna a sborsare l’assegno di circa 850 euro mensili.
Un riconoscimento che arriva dopo 36 anni e che sembrava ormai un miraggio. “Siamo commossi – ha confidato il marito della donna (ora gravemente ammalata di altre patologie) all’avvocato -, perché non speravano più in un successo”.
“Quello del sangue infetto e delle trasfusioni non controllate – commenta Mattarelli – è uno scandalo che ha attraversato l’Italia tra gli anni ’70 e ’90 e ha visto la recente condanna del nostro Paese da parte della Corte di giustizia europea per i ritardi nei processi e nei risarcimenti”.
Ma la battaglia legale della donna non finisce qui. Dopo questa vittoria la donna è ora pronta ad affrontare una nuova causa contro lo Stato per ottenere l’ulteriore risarcimento integrale di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali in aggiunta all’indennizzo ottenuto.
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