Attualità
29 Aprile 2016
Il team ferrarese ha creato una mappa della galassia grazie alle immagini del satellite Herschel

Via Lattea, un contenitore di stelle svelato da Unife

di Redazione | 2 min

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ESA/Herschel/PACS, SPIRE/Hi-GAL Project, G. Li Causi INAF-IAPS

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A un milione e mezzo di chilometri di distanza dalla Terra, si trova dal 2009 il satellite Herschel, che ora è pronto a svelare dati preziosi alla comunità astronomica: per la prima volta la nostra galassia viene mappata grazie a un telescopio spaziale costruito ad hoc.

E’ il programma Hi-Gal dell’Agenzia Spaziale Europea che ha consentito la creazione di una mappa ad alta risoluzione dell’intero piano della nostra galassia, a cui hanno partecipato anche i ricercatori del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra di Unife.

Le immagini, che coprono circa 800 gradi quadrati (il 2% del cielo), campionano accuratamente il piano della Via Lattea, la galassia che ci ospita, e ne svelano la complessa trama di gas e polvere cosmica entro cui si formano le stelle.

Al progetto Hi-Gal, guidato da Sergio Molinari dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) ha partecipato il team del professor Paolo Natoli di Unife.

“Siamo abituati a pensare alla Via Lattea come ad un contenitore di stelle – afferma Natoli – ma in effetti essa ospita molta più materia sotto forma di nubi di polvere e gas, all’interno delle quali le stelle si formano. Questo processo non può essere osservato con i tradizionali telescopi ottici perchè la luce visibile, a cui sono sensibili i nostri occhi, non riesce a penetrare queste nubi. La radiazione infrarossa, invece, svela i complessi meccanismi fisici che sono alle base della formazione stellare”.

Il ruolo del team ferrarese è stato determinante per la creazione delle mappe di cielo di Hi-Gal, che come commenta Natoli “costituiscono una vera miniera di informazioni per la conoscenza della nostra galassia e del ciclo di nascita, vita e morte delle stelle che ospita. Creare queste mappe ha rappresentato una sfida notevole: ciò che vediamo alla fine del lavoro è un’immagine, assimilabile a una fotografia digitale, ma è bene tener presente che si tratta di ‘falsi colori’, perché i nostri occhi non riuscirebbero a percepire le frequenze a cui Herschel lavora.

“Riuscire a condensare questi dati in immagini, senza alterarne l’informazione scientifica che esse contengono, vero obiettivo delle successive analisi, ha richiesto lo sviluppo di algoritmi dedicati e l’uso di supercalcolatori oltre ad anni di lavoro di giovani scienziati, molti dei quali precari – nota il professore di Unife -. Il fatto che esse siano anche belle dal punto di vista estetico rappresenta un qualcosa in più, e ci ricorda la bellezza che spesso si incontra nell’indagine fisica della natura”.

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