Bondeno
25 Aprile 2016
Nato a Bondeno e grande amico di Carlo Rambaldi, l'artista documentò con le sue opere anche le atrocità vissute in prigionia

Sopravvisse ai campi di concentramento, muore il pittore Cavallari

di Redazione | 2 min

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p126_0_00_01Bondeno. Era sopravvissuto per tre anni, dal 1943 al 1945, nei lager tedeschi, e dalla sua terribile esperienza trasse l’ispirazione per alcuni de suoi quadri più belli e toccanti. Il pittore bondenese Alberto Cavallari si è spento ieri notte a 91 anni, a poche ore dal 71° anniversario della Liberazione, dopo una vita passata a trasferire sulle proprie tele quei valori e quegli insegnamenti che aveva fatto propri durante i drammatici anni della prigionia.

Opere che nel corso degli anni lo hanno portato a esporre in alcuni dei luoghi più simbolici della Resistenza: dal Museo al Deportato di Carpi, al quale negli anni ’80 donò ben 56 opere, al Palazzo dei Diamanti, dove nel 1974 i Comuni di Ferrara e Modena gli dedicarono la mostra “Dai lager tedeschi al Delta del Po”. Negli anni successivi alla guerra Cavallari si dedicò anima e corpo alla produzione artistica e frequentò a lungo anche il vigaranese Carlo Rambaldi, futuro premio Oscar e noto per essere il ‘padre’ di mitici personaggi cinematografici come E.T., King Kong e Alien.

Cavallari era nato a Bondeno ma dagli anni ’60 viveva stabilmente a Modena. Delle sue opere il critico Paolo Rizzi scrisse: “Un motivo più volte ripetuto dal pittore: le pieghe delle stoffe […] il tema principale la donna. […] la pittura rispecchia quello stato d’animo che si nasconde dentro l’immagine. C’è sempre, in ogni dipinto, qualcosa che unisce e qualcosa che divide. Sono variazioni, appunto, di stati d’animo, che corrono nervosamente su tela: ad esse occorre far attenzione per capire i significati che stanno sotto e che formano la vera ricchezza della pittura, al di là dell’innegabile maestria”.

Tra gli aneddoti più noti sul pittore bondenese vi è quello relativo alla sua liberazione dal lager, dove fu torturato e denutrito fino a pesare 38 chili. A salvargli la vita fu un capitano medico americano, che lo curò da una ferita che si era ‘artigianalmente’ medicato con della polvere. Cavallari decidette che, una volta tornato in patria, avrebbe chiamato il proprio figlio come quel medico americano: Douglas.

 

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