Eventi e cultura
16 Novembre 2015
Stefani: “Un metro di giudizio che ci fa cadere tutti sempre più nell’oscurità”

La colonna infame oggi come ieri

di Redazione | 3 min

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49a78dd1-b8e0-4419-9b82-0fcdaf42e9e0di Anja Rossi

Colonne infami, tra illuminismo e barbarie. Per il ciclo “Italiani brava gente” in biblioteca Ariostea, venerdì pomeriggio Piero Stefani ha posto l’attenzione sull’opera La colonna infame di Alessandro Manzoni, per rileggere i caratteri degli italiani e offrire nuovi spunti di riflessione.

Nel comporre questa opera, Manzoni prese gran parte delle notizie in merito dal ‘De peste Mediolani quae fuit anno 1630’ di Giuseppe Ripamonti, che descrive anche la vicenda e che ispirò anche le Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri.

La vicenda storica narra del processo a Milano, in pieno periodo di peste, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze. Un’accusa di fatto accertata in seguito come infondata. Il processo, però, avvenuto nell’estate di quell’anno, portò alla condanna capitale dei due innocenti, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora. Questi vennero giustiziati con il supplizio della ruota, ma non solo. Ci fu anche la distruzione della bottega di Mora, che era un barbiere, e per monito alla popolazione venne eretta sulle macerie – appunto – la colonna infame.

“Quest’opera è tipica del Manzoni – evidenzia Piero Stefani – e perciò non priva di fatica anche per il lettore che debba confrontarsi con essa. Non è lunga ma non concede mai nulla al lettore, non ha un passo paragonabile al giornalismo, nel senso che non ha nulla dell’inchiesta giornalistica”. Quanto al contenuto, “non è una tortura di violenza quella di cui narra lo scrittore italiano, ma è più una tortura di tipo burocratico. Così facendo, Alessandro Manzoni non ripercorre solo la vicenda degli untori, non indaga solamente sui pregiudizi, ma si interroga anche sul senso profondo della responsabilità umana messa a confronto con i condizionamenti storici propri dell’epoca in cui si vive”.

“La colonna – continua Stefani – serviva a evidenziare il luogo dove era avvenuta la presunta contaminazione da parte dei due. Serviva dunque da monito affinché il luogo infame non contaminasse altri che vi passassero vicino. La colonna, mentre il Verri scrive, è ancora in piedi; è l’esempio visivo di qualcosa che doveva essere condannato in modo palese. Il filosofo milanese, però, nelle sue Osservazioni sulla tortura fa di questo un esempio tangibile che la tortura non serve a scovare la verità, ma anzi, sotto tortura può venire detto il falso. La stessa autorità inquisitoriale è ingiusta e desueta, e risulta in netta contrapposizione ai valori dell’illuminismo e della ragione”.

Il fatto che si sia sempre fatto così, che così è giusto, crea una continuità storica che viene letta come garanzia di legittimità, invece qui i due autori – Verri e Manzoni – fanno il grande salto: dicono che il fatto che si sia sempre perpetuata questa modalità di reagire, non fa altro che farci cadere tutti sempre più nell’oscurità”.

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