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1 Luglio 2015
Agli Uffizi una monografica dedicata al pittore eccentrico fra Rinascimento e Maniera

Una mostra dedicata a Piero di Cosimo

di Redazione | 6 min

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Si deve a Serena Padovani, già direttrice della Galleria Palatina di Firenze, l’idea di proporre una mostra dedicata a Piero di Cosimo, pittore del Rinascimento fiorentino originale, fantastico, straordinario narratore di favole, ma la cui notorietà, al di fuori del ristretto mondo d’arte e dei collezionisti, non ha mai, ingiustamente, raggiunto quella di maestri suoi contemporanei, come Filippino Lippi o Fra’ Bartolomeo.

Resta quello del pittore Piero di Cosimo (1462 – 1522) uno dei casi più emblematici, al quale la Galleria degli Uffizi, raccogliendo l’avvincente proposta della studiosa Serena Padovani ha voluto dedicare la prima mostra monografica mai realizzata, dal titolo Piero di Cosimo 1462 – 1522. Pittore eccentrico fra Rinascimento e Mamiera, aperta fino al 27 settembre 2015 (catalogo Giunti) e curata da Antonio Natali (direttore degli Uffizi) assieme a Elena Caprotti, Anna Forlani Tempesti, Daniele Parenti e la stessa Serena Padovani.

Pur essendo uno dei pittori più geniali e originali della scuola fiorentina a cavallo del Rinascimento e Manierismo, questo maestro è ben noto a critici e storici dell’arte di professione, che da tempo ne hanno compreso il valore e si sono per questo impegnati a ricostruire il catalogo delle opere sacre e profane, conservate nei musei e nelle collezioni private delle principali città del mondo.

Ma chi era Piero di Cosimo? Dai pochi documenti pervenuti sappiamo che era figlio di un fabbro fiorentino di nome Lorenzo e che era stato messo a bottega, attorno ai 18 anni, presso Cosimo Rosselli, pittore non grandissimo ma dotato di una bottega polivalente molto ben organizzata. Giorgio Vasari racconta che il legame tra il discepolo Piero e il maestro Cosimo fu strettissimo, e che andò oltre il semplice piano professionale. Piero considerò il Rosselli alla stregua di un padre e, non a caso, volle assumerne il patronimico, passando alla storia, appunto, come Piero “di Cosimo”. Sempre il Vasari narra che, quando Rosselli morì, Piero si chiuse nella bottega affranto dal dolore, senza farvi accedere nessuno per giorni e giorni.

D’altro canto, Piero di Cosimo ci viene restituito dalla biografia vasariana come personaggio a dir poco eccentrico, assai poco socievole e sempre assorto nella contemplazione degli aspetti più selvaggi e inconsueti della natura. Da questo carattere e da queste osservazioni bizzarre sarebbe derivato secondo Vasari, il linguaggio originalissimo del suo stile.

Allievo prediletto di Cosimo Rosselli, Piero di Cosimo visse però a contatto anche dei più grandi maestri fiorentini attivi nel secondo Quattrocento e da tutti loro trasse spunti e ispirazioni. Lo attrassero la monumentalità del Ghirlandaio, il disegno sinuoso di Botticelli, il decorativismo di Filippino Lippi, le speculazioni di Leonardo da Vinci e le finezze dei pittori fiamminghi, giunti a Firenze attraverso le opere avidamente collezionate dai banchieri fiorentini. È da questo cocktail di sollecitazioni che emerge e si compone lo stile “selvatico e severo” di Piero.

Gli esordi del maestro avvennero a Roma, accanto a Cosimo Rosselli, sulle pareti della Cappella Sistina (1482), e in particolare nella scena della “Predica della montagna” condotta praticamente a quattro mani. Successivamente la carriera di Piero si svolse a Firenze, dove per esercitare la professione egli si iscrisse regolarmente alla Compagnia di san Luca e dell’Arte dei medici e degli speziali.

Attraverso una trentina di opere ed altrettanti disegni, la mostra degli Uffizi tenta di definire le tappe, i generi e i soggetti della produzione del maestro.

L’originalità di Piero di Cosimo si può ammirare nella Madonna con Gesù Bambino 1485-1490 circa (Parigi Museo del Louvre). Questa particolare raffigurazione ha sempre suscitato commenti di stupita ammirazione per l’umiltà commovente della Vergine – contadina che, chiusa nel modesto “scialletto malamente annodato”, sembra a stento in grado di leggere il testo sacro. La libera originalità di Piero di Cosimo nel trattare il soggetto sacro non ne diminuisce la densità simbolica: così la stuoia in cuoio o paglia intrecciata, tirata fuori per l’occasione con ancora evidenti i segni della piegatura, è il “drappo d’onore” che sottolinea la divinità di Maria; il piccione ironico e quasi grottesco con la sua piccola aureola (che ha dato origine al soprannome “ Madonna del piccione”) è lo Spirito santo; il povero davanzale di pietra sbrecciata non è solo un piano d’appoggio per il libro di preghiere magistralmente dipinto e scorciato con nastrini segna-libro serpeggianti fra le pagine, ma allude alla pietra del sepolcro di Cristo.

Con Madonna col Bambino e due angeli 1505-1507 circa , (Venezia, Galleria di Palazzo Cini), siamo al cospetto di uno dei più strabilianti dipinti di Piero di Cosimo e in generale del primo Cinquecento fiorentino, in cui si manifesta al meglio l’interesse dell’artista verso la poetica degli affetti intrisa di vibrante naturalismo ed espressa in termini di assoluta originalità. Nella composizione, contro un blu cobalto del cielo e sullo sfondo di un paesaggio essenziale, la Madonna sorridente osserva Gesù che scivola dalla gamba della Madre per abbracciare l’angelo musicante dalle ali spiegate e, in quel mentre, solleva l’archetto della ribecca a tre corde.

È uno degli esempi più significativi di quel singolare plein air rinascimentale che Piero sa raggiungere nelle sue opere più realizzate; quell’effetto cioè di immagini “all’aria aperta” che il suo autentico lirismo vivifica di un sapore agreste e meteorologico, dove la luce più o meno cristallina, i prati, le rocce e gli alberi – ora scarni, ora nudi, ora verdissimi – fanno subito penetrare in un clima che, di volta in volta, è primaverile, autunnale, gelido.

Colmo di poesia è Satiro che piange la morte di una minfa 1495-1500 ( Londra, National Gallery). Trasportato su una sponda tranquilla, l’osservatore si trova a un’immensa distanza dalla posia selvaggia e turbolenta della Battaglia tra centauri e i Lapiti, dipinti dallo stesso autore e presenti nello stesso museo.

Il paesaggio empatico contribuisce alla magistrale capacità di Piero di esprimere l’atmosfera della scena, con la natura che partecipa insieme allo spettatore alla tragicità della vicenda. Dai profili dolcemente digradanti delle montagne in lontananza, ai fiori rossi che contornano la scena a capo chino, la natura pare rispondere, anzi pare addirittura provare sentimenti. Il satiro, testimone della vita della ninfa che scorre via, è il ritratto della sollecitudine mentre scosta con la mano destra una ciocca di capelli della ninfa e pone la mano sinistra con dolcezza sulla spalla della fanciulla, quasi a svegliarla da un sonno profondo. Tre cani di vari colori vagano o siedono pigri sulla spiaggia in campo medio, in compagnia di un pellicano, consueto simbolo del sacrificio, e di aironi, uccelli che secondo Plinio il Vecchio piangevano di dolore proprio come gli esseri umani.

Il tenore emotivo della favola di Piero pare aver colpito anche i preraffaelliti, come si può notare, almeno in spirito, nel Pan e Psiche (1872-74) di Edward Burne-Jones, agli Harvard Museum. Così il lirismo del pittore e cantore di storie fiorentine continua a incantare.

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