di Elisa Ognibene
Studi sulla possibile cancerogenicità del cloruro di vinile monomero (Cvm) sono già in atto alla fine degli anni ‘60. Diversi gruppi di scienziati, non solo italiani, avevano intuito che l’esposizione prolungata a questa sostanza potesse avere effetti dannosi sulla salute dei lavoratori. In quegli anni i ricercatori della Goodrich pubblicano sul Journal of the American Medical Association un articolo sui danni del Cvm. Nel testo si legge di 31 casi di acroosteolisi, una patologia che colpisce le ossa e le distrugge, fra operai che lavorano a contatto con il cvm.
Nel 1974 l’autorevole rivista Lancet pubblica: “Proporzioni della mortalità fra lavoratori esposti a cloruro di vinile”, da studi condotti all’università del Massachussetts. Nello stesso anno il Journal of occupational medicine dà spazio al gruppo del dr. Gaffey e ai suoi studi nello stesso campo. Nel febbraio del 1975 esce un editoriale su CMA Journal: Vinyl chloride and cancer. Un rapporto causa-effetto già scientificamente provato o sotto stretta sorveglianza. Si comincia a delineare che una delle patologie più frequentemente correlate all’esposizione a cvm è proprio l’angiosarcoma epatico, come sottolineato dallo studio del dr. Popper e colleghi, su 13 casi di questa malattia in operai addetti alla polimerizzazione del cvm.
I rischi del Cvm sono quindi sotto gli occhi di tutti, in America si mettono in atto misure preventive, in Italia il problema viene inizialmente sottovalutato, nonostante gli studi del dr. Pierluigi Viola. A fare questa pesante affermazione è il dr. Lorenzo Tomatis, che in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2001 ricorda gli studi del dr. Viola: «ero a Houston quando venne presentato, l’anno dopo la pubblicazione, al Congresso internazionale sul cancro. Un lavoro eccellente, di grande forza, perché attraverso la sperimentazione sui topi, riusciva a prevede ciò che l’ esposizione al cvm avrebbe prodotto sull’uomo: il tumore” (http://archiviostorico.corriere.it/2001/novembre/04/Sentenza_vergognosa_sappiamo_dal_che_co_0_0111047397.shtml
).
La ricerca italiana sul Cvm porta quindi il nome del dr. Pier Luigi Viola. Nel 1960 viene nominato direttore dell’Ospedale aziendale Solvay e inizia ad osservare la presenza di acroosteolisi in alcuni lavoratori. Nel maggio del 1971 Cancer Research pubblica un suo lavoro dal titolo: “Risposta oncogena al cloruro di vinile di pelle, polmoni e ossa del ratto”. Nel testo si evidenzia come ratti esposti a vapori di cloruro di vinile per 12 mesi abbiano riportato tumori della zona parotidea e in minore percentuale dei polmoni.
Gli organismi sanitari e le aziende di tutto il mondo ormai iniziano a ritenere che il cvm sia una sostanza “estremamente pericolosa”, ma bisognerà arrivare al 1976, con la legge Merli (L. n. 319/1976) perché siano rivisti i rapporti fra la normativa sui rifiuti e quella sugli scarichi, e conseguentemente le politiche di sicurezza aziendale.
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