Attualità
9 Giugno 2015

Giugno, andiamo. E’ tempo di gay pride

di Redazione | 5 min

E’ partita in questi giorni lOnda Pride, sulla cui cresta quest’anno ci sono ben quindici città, alcune delle quali al loro debutto nella manifestazione di piazza più importante del movimento lgbt.

Ma che cos’è e cosa significa il Gay Pride?

Inizierò dicendo subito quello che non è in modo da sbarazzarci da inutili e sterili polemiche sul tema:

non è una baracconata,

non è una carnevalata,

non è il circo,

non è un set pornografico all’aperto,

non è nemmeno la prova evidente dell’eclissi di Dio come ebbe a dire il papa emerito e/o uno schiaffo all’umanità o qualunque altra cosa abbia detto Parolin de Parolon (mi perdonerete se non lo cito testualmente ma tanto i concetti son sempre quelli).

 

Il Gay Pride era, è e rimane una manifestazione politica nella sua accezione più ampia e nobile, porta in piazza migliaia di cittadini di ogni orientamento sessuale, razza, credo religioso, colore di capelli, altezza di tacco o comodità di ciabatta, lunghezza di barba e trecce, corpi fuori o dentro il peso forma, ascelle con o senza peli, piume colorate in testa e teste rasate o calve, seni rifatti o cadenti, per riappropriarsi di uno spazio pubblico che alcuni ancora vorrebbero negarci per chiuderci, possibilmente a chiave, dentro uno spazio privato.

Non occorre essere filosofi particolarmente acuti o sociologi dalle vette di pensiero vertiginose per capire che la sessualità umana è tutt’altro che privata, e che è il terreno su cui si giocano le grandi partite delle democrazia moderne (prova ne sia la manipolazione repressiva delle religioni, specie quelle monoteiste, che dicono espressamente ai fedeli quello che devono o non devono desiderare, in una perversa saldatura col potere cosiddetto temporale; prova ne sia il continuo tentativo di controllare, comprimere e normare il corpo delle donne e l’autonomia delle stesse nelle decisioni che le riguardano e basta guardare all’assalto alla legge 194).

Il Gay Pride è il più manifesto atto di visibilità collettiva di una soggetto politico vivo, pulsante, cantante e gioioso, che però vede ancora negati i propri diritti.

Mai come in questi anni, al contrario di coloro che sostengono che di gay pride non c’è più bisogno perché a parer loro saremmo ormai tranquillamente integrati nella società, è necessario scendere in piazza. Basta pensare che solo pochi giorni fa Anno Uno su La 7 ha mandato in onda il peggio del moderno ku klux klan (prima il Luca che era gay che fa i soldi con le teorie riparative, poi Adinolfi, poi le Sentinelle in Piedi, poi il monsignor di turno che ci vieta questo e quello) mettendo tutto e il contrario di tutto nello stesso calderone, da cui è uscito una brodaglia buona solo per l’audience e per i commenti, per lo più giustamente sdegnati, del giorno dopo. E così mentre da noi ancora stiamo a discutere se l’omosessualità è o no una malattia, l’Europa riconosce le famiglie omogenitoriali.

Se qualcuno di voi si volesse prendere la briga di leggere le piattaforme politiche dei vari pride di quest’anno (i pride hanno sempre avuto una piattaforma politica, prima che qualcuno dica il contrario) capirà che non siamo di fronte a un fenomeno di costume, ma a una manifestazione che rivendica con forza la laicità e la democrazia, che non vuole togliere niente a nessuno, ma semmai vuole aggiungere valore, allargare e estendere la forza democratica dello Stato che sta tutta nella tutela delle minoranze che lo abitano e non nell’imposizione della volontà della maggioranza.

(A questo proposito: ministra Giannini meno chiesa e più educazione civica nello scuole, grazie.)

E’ anche una festa? Certamente che lo è! Dopo che nella storia ci hanno bruciat* sui roghi, deportat* nei lager, pestat* per strada, lapidat*, impiccat*, violentat*, dopo che ci hanno vessat* e tentato in tutte le maniere di spingere nell’ombra, a un certo bel punto abbiamo detto basta. Era la notte fra il 27 e il 28 Giugno 1969 quando iniziò la rivolta di Stonewall, ovvero la prima volta nella storia che trans, gay e lesbiche si sono ribellati alle violenze e ai soprusi e hanno rivendicato, con orgoglio, la loro diversità.  Liberarsi dalla violenza e dai soprusi è sempre una festa. E’ l’orgoglio, o se preferite, la fierezza di essere quello che si è, di mostrarsi alla luce del sole con gioia e allegria, di rivendicare pari dignità, come chiunque altro.

Per chiudere citerò la regina delle critiche al Gay Pride, e anche la più molesta secondo chi scrive, e cioè che dovrebbe essere una manifestazione più sobria, in giacca e cravatta per lui e tailleur per lei. Il dibattito a suo tempo si è acceso anche all’interno dell’associazionismo lgbt, e io sono felice che non sia passato questo tentativo di normalizzare un evento e che avrebbe inferto una ferita letale al portato culturale, intellettuale e politico che in quando soggetti eccentrici (rispetto a un focus imposto di “normalità”)  portiamo dentro la società civile. Se avessi un euro per ogni volta che ho sentito dire:”Ah se non date un’altra immagine di voi, la società non vi accetterà mai! Ogni volta che c’è un pride si vedono solo transessuali mezzi nudi e uomini con le chiappe di fuori”, sarei nababba. Per prima cosa la maggioranza delle persone che sfila al gay pride, non ci  tiene affatto a far vedere le proprie chiappe, me compresa, per la fortuna di tutt*. Ma mi chiedo: quell* che si fissano tanto sulla nudità di qualcuno, che vedono in questo il chiaro e inequivocabile segno di promiscuità, che fanno subito l’equazione nudità uguale sesso sfrenato e orgia pantagruelica ad ogni angolo di strada, anzi meglio, su tutti i carri dei gay pride, non sarà che hanno la tendenza a sessualizzare l’universo mondo? Non sarà che hanno una sola prospettiva da cui guardare alle cose?

Ai posteri l’ardua sentenza.

 

Michela Poser

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