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23 Aprile 2015
La mostra a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli sarà aperta fino al 26 luglio presso la Fondazione Roma Museo-Palazzo Cipolla

Barocco a Roma: la meraviglia delle arti

di Redazione | 4 min

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unnamed (36)di Maria Paola Forlani

Il Barocco è la continuazione logica del manierismo, che ne è la premessa. Se questo esprime la crisi della società rinascimentale, l’angoscia del dubbio, l’urto fra la Riforma protestante e la Controriforma cattolica, il barocco è l’arte del trionfo controriformista e dell’assolutismo sovrano, sia quello papale a Roma, sia quello monarchico in Francia o in Spagna; ma è anche l’arte dell’introspezione psicologica dell’uomo, l’espressione del suo dramma. Il barocco è un fenomeno europeo, diffuso, in seguito all’evangelizzazione delle colonie, nell’America latina, differenziato a seconda delle realtà sociali e culturali delle varie nazioni, ed è un fenomeno soprattutto cattolico. Perciò la sua origine è essenzialmente italiana e il suo centro maggiore è Roma, da dove si irradia nel resto d’Italia e in tutta Europa.

La mostra “Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli, aperta fino al 26 luglio 2015 presso la Fondazione Roma Museo-Palazzo Cipolla, si snoda lungo un affascinante percorso visivo composto da quasi duecento opere d’arte che presentano un’esaustiva panoramica sul linguaggio estetico prodotto durante i pontificati di Urbano VIII Barberini (1623 – 1644). Innocenzo X Pamphili (1644 – 1655) e Alessandro VII Chigi (1655 – 1677).

unnamed (37)Gli artisti, di quell’epoca straordinaria, sono tutti rappresentati, protagonisti acclamati di quella furia artistica che, dopo il Rinascimento, manifestava per immagini le profonde inquietudini dell’uomo nuovo, espresso in un allestimento che vuole esso stesso evocare le iperboli architettoniche di Francesco Borromini.

Con i pontefici mecenati,con cui inizia il suggestivo percorso espositivo, sono, anche, le loro famiglie, un’aristocrazia che compete con gli ordini religiosi, i Gesuiti in prima fila, per contribuire alla vertiginosa crescita della città con una nuova facies barocca: nelle architetture monumentali, sacre e non, come nella decorazione degli interni, con l’esuberanza mai così prima di allora nelle sale affrescate: nella creazione di quadrerie dove centinaia di dipinti affollano ogni ambiente della dimora, da pavimento a soffitto, fino al più piccolo oggetto, una placchetta in bronzo dorato o una medaglia d’argento. Quest’ultima, seppur piccola, con un ruolo importante per veicolare e diffondere il messaggio di potere, magnificenza e sovranità di cui la Caput Mundi si sente investita, per il tramite delle sue figure guida. Innanzitutto il papa.

Tanto basti ad esplicitare la valenza anche politica, nel senso del potere e supremazia, che sottende il nuovo assetto urbanistico e architettonico nei decenni centrali del Seicento a Roma. Disegni, documenti, stampe, modellini in legno o terracotta danno l’idea dell’enorme cantiere, mentre i dipinti con vedute e scene di festa fanno rivivere l’entusiasmo e gli aspetti più giocosi e insieme trionfali della Città Eterna in Età Barocca. Insieme ai committenti, i protagonisti dell’ondata di novità che coinvolge tutte le arti sono gli architetti, i pittori e gli scultori che nelle sale della Fondazione Roma, sfilano con opere magistrali. A cominciare dalla Santa Margherita di Annibale Carracci, accanto a opere degli altri bolognesi, tra i principali rinnovatori del linguaggio dal manierismo alla nuova parlata capace di coniugare naturalismo e classicismo: Giovanni Lanfranco, Guido Reni, il Guercino e il Domenichino.

A entusiasmare il visitatore, lungo il cammino di tanta ‘bellezza’, basterebbe la tela con Atlante e Ippomene in trasferta da Capodimonte, capolavoro del “ divino” Guido, per dirla col Malvasia. La scena rappresentata è tratta dal mito greco, secondo il quale Atalanta, nemica delle nozze, sfidava a una gara di corsa, nella quale era imbattibile, i vari pretendenti, sconfiggendoli e uccidendoli; ma Ippòmene, lasciando cadere tre mele d’oro dategli da Afrodite, dea dell’amore, e inducendo perciò Atalanta a indugiare per raccogliere, riuscì a giungere primo e a sposarla. Splendida la bellezza dei due corpi nudi, perfettamente torniti, e la rispondenza delle forme secondo linee diagonali.

unnamed (39)Ma poi, oltre agli emiliani, i “forestieri” offrono il loro contributo per la variopinta declinazione della pittura barocca: il fiammingo Pietro Paolo Rubens con il San Sebastiano della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, e lo stesso santo nella celebre tela di Simon Vouet della collezione Gianluigi Condorelli.

Dalla Francia anche Nicolas Poussin, Claude Lorrain e Jean Lemiare, per la pittura, e François Duquesnoy, per la scultura. Campo, quest’ultimo, dove trionfa sempre il genio di Gian Lorenzo Bernini, accanto al più composto e “classico” Alessandro Algardi. Del Bernini disegni, bozzetti in terracotta e marmi mostrano la sua effervescenza creativa negli anni di Urbano VIII Barberini (1623 – 1644); gli stessi in cui emerge, in pittura, la figura leader di Pietro da Cortona, che per il Barberini affrescherà il soffitto del suo palazzo nell’impresa magistrale condotta tra il 1633 e il 1639. Nel percorso sono anche presenti capolavori d’arredo: specchi, mobili, orologi strumenti musicali – tra cui spicca l’arpa Barberini. In mostra anche i “cortoneschi” Ciro Ferri, Giovanni Francesco Romanelli, Giacinto Gimignani, Guglielmo Cortese detto il Borgognone e Lazzaro Baldi, che interpretano all’infinito il volto pittorico di un superbo barocco maturo.

Protagonista dopo la svolta della metà del secolo è però il genovese Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio, raffinato pittore da cavalletto per l’aristocrazia e abile frescante per i Gesuiti. Tra gli ultimi palpiti di un’arte che sgorga dall’anima e si accende nei colori e nelle forme, il Gaulli chiude in bellezza, insieme a Carlo Maratta, la gloriosa stagione del trionfo barocco a Roma.

“Che importa a me veder dipinta in occhio/
col Calice la Fede, e colle chiavi/
cui’l popol piega l’umil suo ginocchi?”
(B. Menzioni, Satire, Amsterdam 1718, X)

 

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