Cronaca
13 Ottobre 2014
Una foto del calciatore in sede di autopsia rivela il viso intatto

Caso Bergamini, bastava guardare il volto

di Marco Zavagli | 3 min

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denisQualcuno non ha voluto vedere. Bastava dare uno sguardo al volto di Donato “Denis” Bergamini per rendersi conto che la versione che lo vedeva trascinato da un camion per 60 metri non poteva reggere. Sul letto della medicina legale il viso del ragazzo di Boccaleone, calciatore professionista del Cosenza ‘suicidato’ a 27 anni lungo la Statale 106 nei pressi di Roseto Capo Spulico, è intatto.

A svelare quella foto è la Gazzetta dello Sport. Si tratta di una immagine catturata durante l’autopsia svolta nel 1990, due mesi dopo la morte dell’atleta. A consegnarla al giornalista Francesco Ceniti è stata Donata, la sorella di Denis. Questo perché “fa capire – scrive Ceniti sulla ‘Gazzetta’ -, più di tante parole, quanto era poco credibile da subito la tesi del suicidio, un suicido raccontato agli inquirenti dai due testimoni presenti sulla Statale 106 nei pressi di Roseto Capo Spulico”. I due testimoni sono Isabella Internò, l’ex fidanzata di Bergamini, e Raffaele Pisano, l’autista del camion accusato in un primo momento e poi assolto dall’accusa di omicidio colposo e creduto morto per anni. Entrambi sono ora indagati. La prima per omicidio volontario in concorso, il secondo per falsa testimonianza.

Questo è avvenuto dopo vent’anni dalla prima, lacunosa, inchiesta. Inchiesta che non volle prendere in esame quell’autopsia, eseguita dal ferrarese Francesco Maria Avato, oggi direttore della medicina legale di Ferrara. Già allora le conclusioni di Avato rendevano poco credibile la versione di quello che oggi il procuratore capo di Castrovillari Franco Giacomantonio ritiene un omicidio volontario. Per la cronaca, la perizia di Avato non venne “congelata” attraverso un incidente probatorio e il professore non venne nemmeno chiamato durante il primo processo.

Già allora i primi dubbio sorsero in capo a Domizio Bergamini, il padre di Denis, precipitatosi nella notte da Argenta in Calabria una volta avvisato della ‘tragedia’ il 18 novembre 1989. Il carabiniere Barbuscio – ricorda Ceniti – lo fece entrare nella morgue per il riconoscimento. Il cadavere del figlio era coperto da un lenzuolo che lasciava intravedere solo il volto. Denis aveva solo “un piccolo graffio sulla fronte”. Il papà sbotta: “Ma che cosa sta raccontando – riporta l’articolo del quotidiano sportivo -, ho guidato dei camion di quella portata: se uno ci finisce sotto finisce maciullato. Non può essere andata come dite voi”.

A qui dubbi si aggiungono le tantissime stranezze della vicenda. La piazzola da dove la Internò vide Denis gettarsi sotto il camion ‘spostata’ di decine di metri dai rilievi, i vestiti del ragazzo quasi intonsi (le scarpe ancora ai piedi, i calzini tirati su, l’orologio integro), la falsa pista del corriere di droga (smentita dalle recenti indagini dei Ris di Messina, che diranno come il 27enne fosse già morto quando venne investito dall’autocarro).

E la famiglia di Denis sta aspettando ormai da 23 anni che qualcun altro riscriva una storia falsata e dimenticata.

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