Il pm Stefano Longhi ha chiuso le indagini sui fatti del 27 marzo 2013, quando il sindacato di polizia del Coisp organizzò un sit in in piazza Municipale a Ferrara e la madre di Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti, scese in strada mostrando la gigantografia del figlio morto, con il viso sfigurato dalle ferite.
Franco Maccari, segretario nazionale del Coisp, e il ferrarese Alberto Balboni, all’epoca dei fatti senatore eletto con il Pdl, devono rispondere per le frasi dette in seguito, durante un convegno dello stesso sindacato, quando misero in dubbio la veridicità di quella immagine.
Carlo Giovanardi deve rispondere invece dell’intervista rilasciata qualche giorno dopo al programma radiofonico “La zanzara”, quando affermò che quello dietro la testa del ragazzo non era sangue ma un cuscino.
Tutti e tre vennero querelati dalla Moretti per diffamazione aggravata. In capo ai primi due le accuse riguardano quanto avvenuto a Palazzo Roverella, quando “in maniera consapevole e volontaria o comunque senza verificare la fondatezza delle proprie affermazioni” dissero di fronte alla platea che la foto era una falsificazione della realtà (Balboni) e che “non era stata ammessa in tribunale perché non veritiera (Maccari).
Tempi e luoghi diversi per Giovanardi. Siamo al 27 marzo 2013. Il senatore viene intervistato da Cruciani sui fatti di Ferrara. Al conduttore de “La Zanzara” disse che “quella macchi rossa che è dietro è un cuscino, non è sangue quello là…”. Un’affermazione che lasciava intendere che la madre avesse distorto la realtà per “indurre – scrive il pm – artatamente nell’opinione pubblica un falso convincimento in ordine alle condizioni del cadavere del ragazzo”.
Una notizia, questo della notifica del 415 bis agli indagati, che “arriva proprio nel momento giusto, a pochi giorni dalla manifestazione in piazza per ricordare la morte di Federico”, commenta Patrizia Moretti. “E’ un frammento della vicenda che non appartiene alla richiesta di giustizia e verità, già chiusa con la sentenza della Cassazione, ma all’ondata della negazione che ci ha investiti dopo le sentenza. Un riflusso di cattiveria e acredine che ci saremmo potuti risparmiare. Io per prima avrei evitato di scendere in piazza con quella foto. È una fase che avrei evitato ma che, per non far uccidere una seconda volta Federico, ho dovuto intraprendere”.