Ha raccontato in aula tre anni di botte. Di calci, pungi, offese che puntualmente riceveva quando lui, perso il lavoro, aveva cambiato completamente atteggiamento nei suoi confronti. E lei, nonostante i maltrattamenti avvenissero a volte anche in presenza dei figli minorenni, aveva taciuto. Fino al 2012, quando, dopo l’ennesimo pestaggio, ha trovato la forza di denunciarlo.
Lei è una donna straniera, residente in provincia di Ferrara. Lui, A.P.H., 44 anni, è il marito di nazionalità polacca, ormai da tempo irreperibile, a processo per maltrattamenti in famiglia.
Ieri in aula la moglie ha raccontato di come si erano conosciuti, nel 1999. E di come la loro relazione fosse scivolata via senza problemi per dieci anni. Poi la perdita del lavoro, l’ansia della disoccupazione, il terrore di non poter mantenere la famiglia, e infine i maltrattamenti. Iniziati nel 2009 e protrattisi per tre anni. Fino al 18 gennaio del 2012, quando lei è costretta a ricorrere alle medicazioni del pronto soccorso.
Per quelle ferite denuncerà il marito il giorno successivo. E, tornata a casa, riceverà le ultime percosse. Poi avviene la separazione. Una separazione sui generis visto che la coppia continua a vivere nella stessa casa. Al primo piano lui. Al secondo, separato da un cancello, lei con i figli.
Poi un giorno è costretta a barricarsi nel suo appartamento perché lui cerca di sfondare la porta. Lei chiama i carabinieri e solo al loro arrivo lui si calma.
Viene poi il processo, al termine del quale l’avvocato difensore Federica Corazzari ha chiesto l’assoluzione insistendo sulla estemporaneità dei maltrattamenti o, in subordine, di derubricare il reato a lesioni. Ma il comportamento processuale del suo assistito, contumace per tutto il processo, non ha certo favorito l’accoglimento della richiesta.
Il pm Nicola Proto ha chiesto una pena di 3 anni e 6 mesi. Leggermente inferiore, 3 anni e 2 mesi, quella comminata dal giudice Diego Matellini.
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