Niente natura morta, niente paesaggio. Solo la figura. “Quel che più mi interessa non è né la natura morta, né il paesaggio, ma la figura. La figura mi permette ben più degli altri temi di esprimere il sentimento, diciamo religioso, che ho della vita” scriveva Henri Matisse nel 1908. Palazzo Diamanti con “Matisse e la figura”(dal 22 febbraio al 15 giugno) mette in mostra 103 opere tutte incentrate sul tema della figura, “sul rapporto del maestro francese con il corpo – illustra la curatrice Isabelle Monod-Fontaine, già vicedirettrice del Centre Pompidou -, soprattutto femminile, in un dialogo continuo tra disegni, pitture e sculture”.
E tra disegni, pitture e sculture di cui si sta completando in questi giorni l’allestimento si snoda il percorso pensato da Ferrara Arte per rendere omaggio a uno dei più celebrati artisti della prima metà del Novecento. Già la prima sala, con le prime prove accademiche, testimonia attraverso il nudo la prima ostinata ricerca di una forma da assegnare a vuoti e proporzioni.
Dalle prove giovanile si arriva al periodo degli ‘anni folli’, fino alla “deformazione espressiva – come la definisce Monod-Fontaine – e quelle macchie di colore puro acquisite lavorando fianco a fianco con André Derain” e testimoniata dal famoso ritratto all’amico pittore fatto giungere dalla Tate Gallery di Londra. Il tocco di Matisse si arricchisce via via di influenze, dovute a maestri del passato e del presente, e arriva ad avvicinarsi al suo stile definitivo. Pietra miliare in questo passaggio è il “Nudo disteso”, dove il ricordo del’Aurora di Michelangelo si assottiglia sotto lo scalpello del maestro francese: “le caratteristiche formali del corpo femminile sono enfatizzate al massimo, fino alla deformazione della struttura, per cui la vita diviene sottilissima, mentre il torso, le braccia e le natiche assumono dimensioni imponenti”.
Altra opera chiave è “La bagnante” del MoMa, in cui “alla pienezza del nudo di schiena, tracciato con una linea spessa che ne evidenzia i contorni, corrisponde un fondo blu che riempie il vuoto intorno alla figura. E il vuoto diventa forma, diventa parte integrante dell’intero, con “La serpentina”, una delle “sculture più audaci mai realizzate da Matisse”, che ritrae una figura prosperava che si assottiglia sempre più nella mente dell’artista fino a diventare slanciata e sinuosa.
Ad accarezzare la sua ossessione della figura, Matisse incontrerà una delle sue muse, la modella Jeanette, ritratta in pittura e scultura, “riducendo la figura – sono sempre le parole della curatrice – quasi a un idolo primitivo, allontanandosi dalla verosimiglianza per giungere a una totale trasformazione del volto”.
Si prosegue per entrare nella sala che raccoglie gli spunti degli anni trascorsi a Nizza, dove Matisse raccoglie influenze di Delacroix e approfondisce quelle di Renoir e Gauguin, collegandosi attraverso il tema delle odalische al sentiero dell’orientalismo.
Nelle ultime sale irrompe il fulgore degli Anni Trenta, ripercorsi dal tema della ninfa e del fauno, un tributo figurativo al “Pomeriggio di una fauno” di Mallarmè, uno dei suoi poeti più amati. Significativo in proposito è il “Nudo rosa seduto”, dove il volto della modella, “scarnificato” attraverso al semplificazione della linea, “diviene un ovale vuoto e il suo corpo è sottoposto a una geometrizzazione estrema”. Gli anni, e le sale, successivi, fanno emergere gli ultimi anni di vita del pittore. Dopo una delicata operazione Matisse si sente rivivere, libero da vincoli, e questo sentimento scoppia a livello cromatico nei suoi ultimi quadri. Tra il 1943 e il ’47 si dedica alle tavole del libro “Jazz”, uno dei suoi ultimi capolavori, inventando la tecnica delle gouches dècoupèes: “ritaglia forme e motivi da fogli di carta dipinti con colori puri e brillanti per poi assemblarli attraverso il collage”. Sempre di quegli anni è la “Giovane donna in bianco su sfondo rosso”, simbolo della mostra ferrarese, un ritratto in diagonale che taglia la prospettiva, “stupefacente vitalità creativa e dell’inesauribile forza d’immaginazione dell’ormai anziano maestro”.
(foto di Elena Bertelli)
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