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8 Gennaio 2014

Il mio Capodanno moldavo

di Redazione | 11 min

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Immagine5Forse fu per gioco o forse per amore che mi ritrovai a passar l’ultimo dell’anno in pieno stile moldavo. Sapere dell’esistenza di una nazione chiamata Moldavia non è da tutti, avere il “privilegio” di assistere ad un Capodanno moldavo, con gente moldava, cibo moldavo, dove ci si ritrova ad essere l’unico italiano in sala, lo è ancora meno, soprattutto se si pensa che questa festa è stata organizzata a pochi chilometri dal centro urbano ferrarese.

Ma prima di iniziare con il racconto, prima che possiate pensare che la notte di Capodanno mi sia esplosa una “cipolla” nel cranio, dovete sapere che da circa due mesi a questa parte, ho scelto di stare con una ragazza moldava. Stanco e forse ebbro di avere a che fare con sempre più originali ed irrisolvibili problematiche delle più sclerotiche ragazze italiane, in pieno stato confusionale ma perfettamente in linea con la crisi del nostro “Bel Paese”, ho adottato la tecnica del buon laureato universitario italiano anche in amore: cambiare nazione!

Le cose sono andate subito a gonfie vele: una ragazza bella, simpatica, dolce, premurosa, a tratti logorroica ma senza folli pretese. Unico difetto constatato, fu l’amore irrimediabilmente rivolto verso la sua terra, quindi anche verso quello che fu il regime dell’ex Unione Sovietica. Anche se molto diverso dalle sue linee romantico-politiche, ho pensato che questo fosse un male su cui avrei dovuto lavorare un bel po’ prima di ricevere buoni risultati. Il suo essere tremendamente attaccata alle radici orientali mi ha sempre affascinato, tralasciando ovviamente le lodi al partito bolscevico. In meno di due mesi queste ancore bloccate sui fondali della terra natia, mi trasportarono in una delle esperienze più surreali ed emozionanti che abbia mai vissuto: il Capodanno moldavo.

Ero dubbioso sull’accettare o meno inizialmente, ma la mia anima curiosa è sempre alla ricerca di nuove avventure. Ispirato da sempre da parole diJean Jacques Rousseau come “Prendi la direzione opposta all’abitudine e quasi sempre farai bene”, scelsi in un secondo momento senza esitazione: proviamo!

Il ristorante fortunatamente poco fuori Ferrara, a ridosso dellaMontedison, decisamente un luogo fuori dai miei pensieri per l’ultimo dell’anno, si presentava addobbato con fili e stelle natalizie e, sullo fondo di una parete, figurava l’immagine di un fiero destriero di pura stirpe moldava a lingua fuori, con in alto una scritta oscura ben visibile che recitava“LA MULTI ANI 2014”.

Immagine7Ero indeciso su cosa mettermi, ma dopo una serie di battaglie tra me e lo specchio di casa, ho scelto un grande classico: vestito nero, camicia bianca epapillonnero mentre Alina era in abito bianco, tacchi/trampoli di indefiniti centimetri, capelli portati lunghi e mossi: c’erano tutti i crismi per un matrimonio.

Giunti in sala, gli occhi degli invitati si rivolsero immediatamente verso di noi, anche gli occhi del cavallo inizialmente simpatico si riempirono di curiosa aggressività. Alina conosceva un po’ tutti quindi “giustamente” mi lasciò solo al centro della sala nel pieno imbarazzo, imbarazzo ancora più accentuato dopo aver visto l’abbigliamento maschile dei gentili signori in sala. Il mio sguardo infatti cadde subito su un uomo in felpa e jeans, ma fortunatamente era un caso isolato anche se dopo pochi istanti capii illook del vero moldavo: camicia sbottonata traslucida modello disco anni ‘70, rigorosa catena con crocefisso d’oro sul petto in pieno stile barese che fece cadere rovinosamente la mia tesi sulla sola esistenza di alcuni resti fossili nella mia cassaforte di famiglia, orologio d’oro, dente d’oro, capello corto con gel, stivale pitonato a punta western e infine la riesumazione delle riesumazioni … il pantalone a zampa maschile. Dopo questa descrizione provate a pensare a quanto ridicolo potevo sentirmi io conciato daGran Galà, solo al centro della stanza, mentre un uomo mi sistemava ilpapillonridendo. Il mio posto a sedere non capivo qual’era ed Alina era addirittura sparita, quindi fui costretto a restare in piedi sotto il bombardamento di sguardi.

In breve tempo un uomo impietosito dalla mia espressione, indicò la sedia a me dedicata, quindi non aspettai un attimo di più prima di incollare le mie chiappe salde alla poltrona. Guardai la tavola imbandita, ma anche il cibo mi terrorizzava, eppure credevo di aver ricevuto un buon“briefing”presso un ristorante russo della città. Ma non bastarono quelle tre o quattro lezioni in quel divia Voltapaletto, infatti iniziai subito a cercare qualche elemento che mi potesse rendere meno impaurito.

Acqua!” pensai fra me e me, finalmente qualcosa che poteva farmi sentire più a casa. Ma prima che il mio braccio tremolante toccasse il cielo della vittoria, una calda mano moldava mi raggiunse versando nel mio bicchiere della buona Vecchia Romagna, un vero e proprio “must” in occasione di festa. L’acqua era un sacrilegio, le bottiglie erano completamente intatte, probabilmente anche i poppanti avevano dellaVecchia Romagnanel biberon. Finii ben presto il mio primo bicchiere dicendo l’unica parola che mi era stata insegnata:“Noroc”, con cui si augura felicità ad ogni brindisi. Ma proprio mentre i nervi accennavano a rilassarsi, un urlo demoniaco squarcia la leggera quiete di quel momento. Era l’urlo di battaglia di Alina, ma nessuno si era preoccupato quanto me, tutto normale. Trattasi infatti delle urla delle donne durante i balli tipici moldavi. Non so se avete presente le urla degliApachee deiCheyenneche precedevano uno scontro con asce, frecce e cavalli, magari la visione del film“Balla coi Lupi”potrebbe fare al caso vostro per rimembrare questo momento.

Le donne e gli uomini improvvisamente si alzarono dalle proprie sedie per raggiungere la pista da ballo fino a formare un cerchio, così cominciarono a saltellare da sinistra verso destra in modo coordinato. Sotto una musica fatta di strumenti come fisarmonica, trombe e tromboni, l’urlo delle donne era qualcosa di inquietante, che mi rendeva partecipe di un sogno o qualcosa di molto lontano dalla realtà a cui ero abituato.

Mi voltai quindi nella mia solitudine verso il piatto che avevo iniziato a comporre:rollè di carne con frutta secca all’interno, insalata di straccetti di pollo, uova e maionese e strane palline di formaggio. Eravamo io, loro, il mio papillon e quel bicchierone di Vecchia Romagnache mi guardava con aria di sfida. Ma dopo pochi bocconi qualcuno mi afferrò dal braccio e mi scaraventò in pista: questa volta ero completamente solo, io e il mio infamante papillon, simbolo per alcuni moldavi di effeminatezza.

Ero impacciato, ovviamente, frastornato dalle urla, ma il mio spirito di adattamento ebbe la meglio. Cambiai immediatamente atteggiamento e mi trasformai, non chiedetemi come e perché, in un ballerino provetto osservando scrupolosamente i passi degli invitati. Non era per me divertimento inizialmente, era come ritrovarsi davanti ad una commissione d’esame. Ogni fine ballo il segreto era tornare a fare rifornimento di Vecchia Romagna, solo così avrei retto quello che per me era un Capodanno assurdo.

Bere, bere, bere!L’imperativo categorico era uno e solo: bere!, per chi non l’avesse ancora capito. E così feci. Lanciai nell’oblio la mia giacca nera ridicola, sollevai le maniche in stile carpentiere e partii alla volta della conquista del titolo di “miglior ballerino moldavo all’estero”. Ero scatenato, non mi fermava più nessuno, tanto da riuscire ad ottenere piogge di complimenti da parte di qualsiasi invitato.

In breve tempo però giunse il momento della disfatta: un gioco che consisteva nel mantenere la propria donna in braccio senza farle toccare terra continuando a ballare. Qui, la mia gracile statura italica si imbattè in una possente e maschia struttura moldava in canottiera bianca. Era la fine dei giochi per me. Nonostante tutto riuscii a sostenere la mia donna fino alla fine, ma quel maschio moldavo non solo teneva la sua donna, ma la faceva volteggiare come avrebbe fatto il miglior pizzaiolo partenopeo con il suo impasto. Quindi allo scadere del tempo adagiai la mia donna sul bancone del bar sotto una votazione “poco di parte” fra fischi e scarsi applausi che decretarono la mia sconfitta.

Erano le 23 meno dieci e sentii improvvisamente qualcosa al microfono. Dovevamo alzarci per il gran brindisi di fine anno. Rividi dunque il mio orologio, controllai su internet ma in tutta Italia erano le 23.00 quindi non mi spiegavo il perché si dovesse fare un brindisi un’ora prima. La risposta arrivò ben presto: in Moldavia a breve sarebbe arrivato il 2014!

Noroc, Noroc! lo dissi almeno 500 volte quella sera. Bastava avere il bicchiere con un po’ meno della metà per essere puntati da qualcuno in fondo alla sala che iniziava la sua corsa per versarti ancora un altro di po’ di Maledetta Romagna.

Dopo ancora altri balli, canti, urla, giri incessanti in cerchio da sinistra verso destra, arrivò la mezzanotte e si scatenò il putiferio: uomini travestiti da donna, persone sulle sedie, la mia ragazza era totalmente presa dal demonio infatti urlava continuamente, calici di vino e spumante mandati giù senza esitazione e infine la surreale comparsa di Babbo Natale.A Capodanno vi chiederete? Si, per loro Babbo Natalearriva il 31 dicembre e ilNatalearriva il 7 gennaio. Iniziò dunque la lunga trafila delle poesie recitate dai bambini, in Italiano, i bimbi infatti andando a scuola qui a Ferrara non conoscono la lingua dei propri genitori.

In questo frangente fui prelevato nuovamente da alcuni invitati per bere un caffè in loro compagnia. Tutti mi raccontarono del loro lavoro, di alcune storie, del perché si trovavano qui in Italia, del comunismo, argomento su cui alcuni erano favorevoli e altri totalmente contrari. Mi raccontavano infatti che la cosa positiva di quei tempi ormai passati è che tutti avevano un posto di lavoro, potevano usufruire dell’istruzione in modo del tutto gratuito, delle visite mediche e di qualsiasi altra cosa che avessero avuto bisogno. La sanità era molto sviluppata e scrupolosa perché bastavano le lamentele dei cittadini a sollevare un medico dall’incarico quindi tutti svolgevano il proprio dovere. Anche il cibo in tavola non mancava mai. I problemi però erano altri. Anche se tutti avevano i soldi per comprare ad esempio un automobile, solo in pochi potevano farlo perché c’erano delle liste lunghissime di attesa. Problema che sorgeva per un auto ma anche per un paio di scarpe che proveniva dai paesi occidentali. Insomma la gente non era povera come abbiamo sempre immaginato, la gente aveva soldi ma che per scelte politiche erano quasi inutili. Nessuno poteva avere qualcosa in più di altri, tutti avevano quel poco allo stesso modo. Poi giunse un ragionamento che mi fece riflettere:

E’ vero, oggi possiamo comprare tutto quello che vogliamo, possiamo comprare la Tv, l’automobile e tutto il resto, ma cosa ce ne facciamo di questa libertà se non abbiamo i soldi per farlo nella nostra terra? Oggi gli stipendi in Moldavia non permettono neppure di pagare il cibo per se stessi, regna il caos, la politica è diventata la prima mafia che chiede soldi anche per passare gli esami all’ università. I nostri figli sono tutti laureati in Giurisprudenza, Medicina, Ingegneria e finiscono tutti col fare i muratori in Italia, inoltre siamo tutti sparpagliati in tante zone del mondo. Allora io mi chiedo, cosa ce ne facciamo di questa libertà se non abbiamo la felicità? Il comunismo era come un bel giardino con delle mura perimetrali altissime, dove nessuno poteva affacciarsi per vedere come vivevano gli altri, per questo stavamo bene, perchè vivevamo nella più bella realtà che potevamo vedere. Avevamo poco è vero, quel poco che bastava a tutti noi per essere uniti e felici. Non è forse lo scopo della vita la ricerca della felicità?”

A questa domanda non potei che annuire. D’altronde ci ritroviamo ad avere degli smartphoneche ci consentono di fare qualsiasi cosa, ma sicuramente non si potrà mai scaricare un’appper ottenere la felicità. Nel treno dei ricordi che in quel momento sferragliò nella mia mente, pensai al mio paese, alla mia infanzia senza nulla di tutto questo, a quella di mio nonno sempre sorridente pur avendo passato la prima e la seconda guerra mondiale, ai suoi aneddoti così semplici che mi facevano sempre ridere. Pensai a noi giovani che siam costretti a migrare in nuovi paesi per ottenere un lavoro, a dividerci dalle nostre famiglie e a rivederle nel migliore dei casi in questi giorni di festa.“E’ forse questo il prezzo da pagare per il progresso? Ma questo, è progresso?”pensai.

La notte proseguì da quel momento in poi sotto un’altra ottica. Adesso avevo la chiave di lettura giusta per comprendere il motivo di quei balli tutti abbracciati come se fosse una sola grande famiglia, quelle urla terrificanti divennero liberatorie, l’alcol un modo per stare insieme e scivolare nell’allegria spensierata e infine l’abbigliamento un po’ spartano per l’ultimo dell’anno … un modo per non restare imbalsamati a guardarsi negli occhi, magari con uno smoking di lusso e del buon“Dom Perignon”, ma per muoversi senza i troppiclichèa cui siamo abituati durante tutti i giorni dell’anno.

Portai quindi le mani verso ilpapillon, lo tolsi e lo lanciai sbottonandomi anche la prima parte della camicia.

Alina ad un tratto prese il microfono e davanti a tutti disse: “Oggi ho portato qui un ragazzo che forse si è sentito un po’ a disagio. Volevo solo dirti davanti a tutta la mia gente che ti amo”.

Non a Madonna di Campiglio, non in una discoteca di lusso, non seduto al tavolo con gente alto-locata, non su uno yacht alle Maldive, non a Times Square, in un Capodanno diverso dal solito, in un piccolo ristorante con poco più di cinquanta invitati, non con i migliori fuochi d’artificio di Sidney ma con le luci e i fumi della Montedison sullo sfondo, avevo trovato quello su cui stavo riflettendo poc’anzi:la felicità.

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