Ha percorso settemila chilometri con mezzi di fortuna, attraversando quattro nazioni e due mari, per fuggire alla fatwa decretata dai talebani nei suoi confronti. Lui è un giovane pakistano di 30 anni, rapito, torturato e spinto dai fondamentalisti islamici a compiere un attentato. Pena la decapitazione del padre. Ma lui si è rifiutato e ha pagato con la vita del genitore. Ora è in Italia per cercare di dimenticare.
È l’incredibile storia di K., tanto incredibile che all’inizio nemmeno le autorità preposte al riconoscimento dello status di rifugiato volevano credergli. La sua storia inizia in un paese al confine con l’Afghanistan. Dal 2006 lavorava presso uno scalo merci dove transitavano anche mezzi Nato. Qui era impiegato con la mansione di registrare le targhe di camion e mezzi pesanti in transito. Questo fino alla notte del 18 luglio del 2010. Quando un commando di otto persone armate fa irruzione in casa sua. Viene rapito insieme a suo padre. I talebani sono convinti che quel terminal serva alla Nato come copertura per attività logistiche militari. Nelle mani dei rapitori rimane tre giorni, in un luogo sconosciuto. Il primo giorno lo trascorre in catene. Il secondo viene torturato. Il terzo viene rilasciato lontano dal nascondiglio con una missione: mentre il padre rimane in ostaggio dei talebani lui dovrà guidare una jeep carica di esplosivo all’interno dell’hangar dove lavora e qui farla saltare. Pena la decapitazione del genitore.
Lui inizialmente accetta. Poi al primo posto di polizia consegna il mezzo e racconta quanto gli è successo. Viene fermato e, dopo gli accertamenti, rilasciato. Ma la milizia locale non riesce a rintracciare i rapitori. Intanto lui trova rifugio in casa di amici dello zio. Fino a quando arriva una telefonata che annuncia che è stato ritrovato il corpo senza testa del padre. In una tasca del vestito c’è un biglietto per lui. È un avvertimento: ora tocca a te. I parenti lo convincono a lasciare immediatamente il paese. Attende il funerale e il giorno stesso lascia il Pakistan. Come nel libro di Fabio Geda “Nel mare ci sono i coccodrilli”, che racconta la storia molto simile di Enaiatollah Akbari, K. fugge attraverso l’Iran e la Turchia. In Grecia si imbarca a Parnasso e il 2 novembre 2010 arriva in Italia. Appena giunto sulle coste pugliese chiede lo status di rifugiato. Parte l’iter della procedura che lo porta davanti alla commissione territoriale. Nel frattempo, grazie al permesso di soggiorno temporaneo trova lavoro in provincia di Ferrara presso una dita artigiana.
Poi deve affrontare la commissione. La prima audizione viene interrotta. Quando deve descrivere la morte del padre, sgozzato e decapitato perché lui si era rifiutato di compiere un attentato, vomita, si sente mancare. Si ripresenterà il giorno successivo, per rispondere alle ultime domande. Niente da fare. Non viene creduto e il 18 dicembre del 2011 la sua richiesta viene respinta.
È grazie alla tenacia del legale che lo assiste, l’avvocato Sara Bruno del foro di Ferrara, che K. riesce a dimostrare la veridicità di quanto avvenuto. L’avvocato chiede e ottiene dal Pakistan i documenti che confermano la sua versione: l’autopsia, le foto, la segnalazione del posto di polizia che confiscò la jeep.
E così la Corte di Appello di Bari, con sentenza 1640 del dicembre 2013, critica pesantemente l’operato dei precedenti decisori, che avevano ritenuto “fantasioso e gratuito” il collegamento tra “la sua attività di semplice impiegato e il motivo ideologico della presunta aggressione del sedicente gruppo talebano” e giudica il racconto “ampio e dettagliato, plausibile e non smentito da elementi di segno contrario”. Quanto basta per fargli ottenere la protezione richiesta.
Ora K. è tornato in provincia di Ferrara, riassunto con un contratto da apprendista dal datore di lavoro che era stato costretto a licenziarlo. Abita da solo, ma spera presto di poter portare in Italia la madre, rimasta sola. Di quello che ha passato dal giorno del rapimento però non vuole comprensibilmente parlare. “Non riesco, non posso riviverlo. Voglio dimenticare”.