Sbandano con la moto. Due feriti in via Calzolai
Schianto con feriti a Malborghetto di Boara, dove - nella serata di giovedì 1° maggio - una motocicletta su cui stavano viaggiando due persone è andata a sbattere autonomamente contro un guardrail
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Sette motivi per cui la sentenza di primo grado che ha condannato Nicola Naomo Lodi per induzione indebita va riformata o annullata
Una stretta di mano ha sigillato il passaggio di testimone tra l’amministratore unico uscente di Sipro – Agenzia dello Sviluppo, Stefano di Brindisi e Paolo Govoni, attuale vicepresidente della Camera di Commercio di Ferrara
Il tribunale di Milano ha dissequestrato i beni confiscati - agli inizi di aprile - alla ditta Zoffoli Metalli Srl di Tamara, azienda copparese finita al centro della maxi-operazione del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trieste contro il traffico illecito di rifiuti
Ancora un grave incidente in via Comacchio dove, nel tardo pomeriggio di mercoledì 30 aprile, una donna di 30 anni e una bambina di 5 anni - mamma e figlia - sono state investite mentre stavano attraversando la strada all'altezza del civico 195, poco dopo la rotonda di via Caldirolo
di Anja Rossi
“Mal che vada, faremo di lui un cantante” aveva detto sconsolata la madre superiora, sentendo la voce del piccolo Giovanni Lindo appena giunto nel collegio di Reggio Emilia. Il documentario “Fedele alla linea” del giovane regista Germano Maccioni parte proprio da qui, dall’inizio inizio, raccontando non tanto la vita del Ferretti come cantante dei Cccp – gruppo punk emiliano nato negli anni ottanta e divenuto tra i più celebri e amati degli ultimi trent’anni -, quanto la sua dimensione più umana. La più sofferta, la più intima, sicuramente quella rimasta maggiormente nascosta negli anni.
Lo scandire del tempo procede attraverso la voce diretta di Giovanni Lindo Ferretti che racconta nel breve documentario la sua storia. Lo fa ripercorrendo – più o meno volontariamente – anche la storia dell’Italia e dell’Europa d’allora, dei confitti generazionali e dei cambiamenti sociali in atto. Il documentario getta così molti aneddoti del passato di Ferretti, collegandoli sempre alla trasformazione che negli anni ha visto cambiare il Paese. L’avvento dell’asfalto che dalle parole del cantante “decreta insieme alla tv la fine del medioevo nei paesini come Cerreto Alpi”, lo spostarsi dal “povero ma libero” paese sugli Appennini per andare ad abitare nelle città industrializzate “rimanendo poveri e diventando schiavi”, la paura della nonna per le prostitute e per la sede del Pci (“ma più per i comunisti che le prostitute” scherza Ferretti pensando alla nonna) entrambi a pochi passi dalla nuova abitazione. E poi, ancora il Pci “che per me al tempo era la cultura, era la socialità” e Lotta Continua, Berlino e l’incontro con la musica, la Mongolia ed infine il ritorno alle terre d’origine, all’idea di transumanza nella completa dedizione per le leggi della natura e delle bestie, l’inizio di un nuovo ciclo nella vita di questo poeta contemporaneo che non riesce più a definirsi tale.
Una lunga storia personale che il regista ha raccontato infatti un po’ a “tradimento”, come egli stesso spiega. “L’idea iniziale era infatti, su proposta dello stesso Ferretti, di fare un film che parlasse dei suoi cavalli e quando gli ho proposto un documentario ci siamo accordati così: io avrei raccontato la sua storia, dove c’erano anche i cavalli, e lui, a patto si parlasse dei cavalli, avrebbe raccontato cose di cui non avrebbe voluto più parlare”. Il cavallo che, come dice lo stesso Giovanni Lindo durante il documentario, “è l’inizio della storia moderna, l’uomo ne ha sempre avuto bisogno tanto che viene adorato tutt’ora, come unità di misura della potenza delle macchine”.
La musica c’è, ma rimane sullo sfondo come colonna sonora che ripercorre la vita di Ferretti. Una musica che diventa poi, negli ultimi anni scanditi dalla malattia, una terapia per guarire. Il fatto che sia stato il musicista che negli ultimi vent’anni ha rivoluzionato la musica italiana sembra dunque essere il punto di partenza per parlare d’altro. “Non mi interessava la politica o le sue ultime scelte – spiega il regista – mi interessava la questione esistenziale di quest’uomo. Ferretti è un personaggio pasoliniano, spiritualmente sempre a contatto con la morte e con la ricerca. Nasce cattolico, viene affascinato dall’islam e dal buddismo, e ritorna ora alla sua terra, e al suo credere. Nella sua carriera ha combattuto la famiglia e la chiesa, ora è tornato ai suoi luoghi d’infanzia, al suo paese sugli Appennini e alla sua profonda fede”.
Nel documentario, forse inevitabilmente, mancano molte parti rilevanti della vita di Ferretti. Non solo quelle più scontate di lui sul palco con la cresta e la minigonna, o quelle più recenti che lo vedono portavoce di istanze politiche che hanno sconvolto gran parte dei fedelissimi seguaci della linea Ferretti. Ciò che più colpisce del racconto è proprio il suo rimanere a uno stadio intimo sì, ma, appunto, quasi a tradimento.
D’altra parte rimane – e piacevolmente – il necessario bisogno di credere di quest’uomo, del suo alzarsi presto per dedicarsi al silenzio del suo universo ritrovato. Una vita che ora sembra essere tornata a una religiosità per lui necessaria, rinvenibile nei piccoli gesti, nella cura certosina dei suoi cavalli, nel letto spoglio di una casa di oltre mille anni. L’impercettibile ma ostinata voglia di “raccontare questa realtà prima che se ne perda il suo mondo”, l’attaccamento per una comunità – quella montana – che fa parte dell’essenza Ferretti. Quella stessa essenza che ha deciso, dopo lunghe lotte, di abbandonare un mondo per riprendersi l’altro, quello che in parallelo ha sempre coltivato, nella piena e sacrale dedizione verso una realtà della quale si stanno perdendo le storie e i paesaggi. Fedele sempre e solo alla sua di linea. Una linea, d’altronde che per molti altri è impossibile scorgere.
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