L'inverno del nostro scontento
3 Ottobre 2013

Italiani brava gente?

di Girolamo De Michele | 5 min

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pointlenanaDomenica 6, alle ore 12, all’interno del Festival di Internazionale, nel Cortile del Castello Wu Ming 1 e Roberto Santachiara presenteranno il loro libro Point Lenana assieme al giornalista britannico Lee Marshal. Per introdurvelo, pubblico qui la mia recensione sul numero di luglio della rivista “L’Indice dei libri del mese”. È un libro che parla di montagne e alpinismo, ma anche del fascismo, del colonialismo italiano, e dei crimini contro le popolazioni indigene, tutt’ora poco noti e offuscati dalla menzogna degli “italiani brava gente”. Ed  è anche un libro di storia del Novecento, di quelli da leggere con la matita in mano. Per ricordare che i crimini che compiamo oggi “a norma di legge (Bossi-Fini)”, ieri li compivamo con l’iprite.

 

Uno dei maggiori storici contemporanei, Robert Darnton, ha spesso tratto spunto per le sue innovative ricerche storiche da qualche evento singolare, bizzarro: un massacro di gatti alla vigilia della Rivoluzione francese, la circolazione di romanzetti osceni nel tardo Settecento, le discrepanze tra le narrazioni della favola di Cappuccetto Rosso.

È un metodo che dà i suoi frutti anche in questo oggetto narrativo scritto da Roberto Santachiara e Wu Ming 1, che sono partiti da un curioso avvenimento accaduto durante la seconda guerra mondiale, quando uno scalatore italiano, Felice Benuzzi, rinchiuso in un campo di prigionia in Kenya, evade assieme ad altri compagni, scala il monte Kenya raggiungendo Point Lenana per piantarvi una bandiera italiana, e poi, ridisceso, si riconsegna ai britannici. Fosse stato un atto di propaganda fascista, non ci sarebbe nulla di anomalo. Ma ciò che Benuzzi intendeva fare non era esaltare, ma riscattare la propria italianità dalla vergogna del fascismo e del colonialismo, dalla parte del torto. Perché, allora, proprio con un’ascensione sul Kenya, che Benuzzi narrerà in due libri, in italiano (Fuga sul Kenya) e in inglese (No Picnic on Mount Kenya), scritti durante la prigionia? È da questo interrogativo, e da una vecchia copia di Fuga sul Kenya, allora fuori catalogo, che muove le mosse la strana coppia formata da un narratore saltuario, ma esperto scalatore, e da un narratore di professione, ma uomo di pianura del tutto ignaro di montagne – e perciò predisposto all’esperienza della “prima volta” nell’ascendere il Kenya ripercorrendo la via di Benuzzi e dei suoi compagni: perché per capire la montagna bisogna entrarci, nella montagna, bisogna farne esperienza.

La montagna, come la vita reale, non si sfoglia. E come la vita reale, la montagna è un oggetto narrabile solo al prezzo di avvolgere le molte storie di cui è intessuta in una corda, e lasciare che dalla corda delle storie pendano i filacci di altre storie, alcune a loro volta narrate, altre lasciate a narratori a venire. Quella che poteva essere una semplice biografia di un triestino che ha attraversato il Novecento diventa così la storia del triestino, e della città in cui nacque e che nel corso della sua vita cambiò quattro bandiere, della terra in cui sorge la montagna che scalò e di quelle limitrofe, dei popoli che l’abitavano da sempre e di quelli che li soggiogarono con ferocia inumana in nome dell’Impero d’Albione o del re e del duce di un impero da operetta, dei fiumi di sangue dei fucilati e delle nubi di gas che sterminarono a migliaia gli indigeni in nome del progresso bianco; e ancora, la storia delle idee che mossero il colonialismo italiano, e di quel coagulo chiamato fascismo che le incarnò nell’esercizio del potere, dei sommersi che perirono nei lager italo-tedeschi in Friuli o nella Jugoslavia o combattendo la dittatura fascio-bruna, e dei salvati che resistettero, o semplicemente scamparono in qualche modo, e ancora…

E la montagna? Ovvero, le montagne? Le montagne sono, in questo libro, ovunque: sono già lì quando arrivano gli uomini, per conquistarne le terre bagnate dalle loro ombre o per scalarle aprendo nuove vie; sono lì a ricordare che c’erano già, e ci saranno anche dopo; sono l’obiettivo, l’oggetto di un’ossessione, o semplicemente lo sfondo. Sono il punto di vista che permette di comprendere e narrare i movimenti di quei some insects called ‘human race’: il Novecento e gli orrori che lo hanno attraversato visti dal punto di vista della Montagna e degli uomini che per passione, per mestiere, per prendere la via delle armi contro il nazifascismo, le scalarono e finirono col farne parte. E quindi, anche – ed era inevitabile – la storia degli alpinisti, del modo in cui il loro rapporto con la montagna si è evoluto nel lungo ventesimo secolo: una storia quasi ignota ai più, ma dotata di un altissimo potenziale allegorico.Comici_con_le_ali Basterebbe il confronto tra l’alpinismo muscolare, eroico, statuario del maschio virile, ovvero il tentativo di imporre una fascistizzazione dell’alpinismo da parte del Regime, contrapposto all’eleganza quasi ballerina di un Emilio Comici, la cui vita è una delle storie più belle tra questa mille e una.

La figura di Emilio Comici [nella foto a sinistra], che danza tra le pagine di questo libro come il suo corpo faceva tra le vie alpine, diventa emblema del fallimento dell’antropologia fascista, e simbolo di quell’antifascismo esistenziale, categoria mutuata dalla storiografia e ampliata alle minuzie della vita quotidiana per dimostrare il fallimento, prima dell’8 settembre, della fascistizzazione degli italiani. Un fallimento che ha una coda velenosa: la rimozione – o meglio, la forclusione – della causa ha lasciato in circolo gli effetti, le tossine disseminate sotto il mito degli “italiani brava gente”. Al fascismo criminale dei Mussolini, Graziani, Roatta, Badoglio è subentrato un microfascismo che si annida dentro di noi, le cui manifestazioni richiedono anamnesi e antidoti: narrazioni come questa valgono tanto per le une quanto per gli altri.

P.S. Con lo stesso Wu Ming 1 ed altri colleghi scrittori – tra i quali l’amico Alberto Prunetti, autore del romanzo Amianto. Una storia operaia, nel quale narra la vita e la morte di suo padre, operaio metalmeccanico morto d’amianto – partecipo, tra gli eventi collaterali al Festival, alla discussione “Conoscere per capire” all’interno dell’evento “Asbestos Reportage Amianto” sabato 5, al Museo di Storia Naturale, dalle 9.45 (per saperne di più cliccare qui: http://www.estense.com/?p=327320).

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