L'inverno del nostro scontento
31 Agosto 2013

La musica delle stelle

di Girolamo De Michele | 9 min

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tifiamoasteroide Un raccontino di fine estate, in attesa di temi più impegnativi. L’ho pubblicato all’interno di un’antologia in ebook intitolata Tifiamo asteroide. Cento storie sulla fine catastrofica del governo Letta, a cura di Mauro Vanetti.
Questi cento racconti sono accomunati dalle stesse due righe finali (sulle quali ogni autore ha imbastito la propria narrazione): la fine del governo Letta. L’ebook è stato finora scaricato da più di 100.000 lettori (in agosto!), potete scaricarlo in pdf o epub cliccando qui: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=13891. A scanso di equivoci: non costa niente, nessun autore è stato retribuito, idem per il benemerito curatore, nessuno ci guadagna qualcosa. Al massimo, se l’avremo gufata bene, ci rimette Letta. Poiché l’estetica è un fatto soggettivo, commenti come “Che bello!”, “Che schifo!”, “Capolavoro!”, “Vai a zappare che è meglio”, ecc. sono tutti parimenti legittimi: liberi di esprimerli (nei limiti dell’urbanità).
Nel frattempo, un ringraziamento ai lettori che si affacciano su questo blog: per il poco che valgono i dati quantitativi grezzi, constatare che un recente blog culturale ha una media di 1146 accessi per ogni post (il più seguito ne ha 1160) dimostra che lo spirito di questo blog è stato compreso.

PS. Nel racconto viene nominata la ballata And The Band Played Waltzing Matilda, una delle più struggenti canzoni contro la guerra (a chi non la conosce consiglio la versione dei Pogues: http://www.youtube.com/watch?v=cZqN1glz4JY). In un momento in cui i venti di guerra soffiano più forti che mai, invito a leggerne il testo: http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=155.

Capimmo di essere nella melma fino al mento quando il comitato dei saggi indicò un’autorità super partes per sciogliere il mistero della musica che da mesi risuonava ai quattro angoli del Paese. Del Paese? Di buona parte dei Paesi.
Era iniziata in Grecia, una specie di hasápikos – sì, insomma, un sirtaki, per capirci: una versione più melodica della danza di Zorba – che cominciò ad essere sentita un po’ qua, un po’ là, a macchia di leopardo. Poi i puntini del leopardo cominciarono ad unirsi e formare figure, le figure ad annerirsi, e in breve questa musica un po’ lenta e lamentosa (se non vi piace il genere) si impossessò dell’intera Ellade. In Portogallo, con qualche variazione melodica, la musica ricordava il fado. In Irlanda prendeva un po’ di ritmo e veniva riconosciuta come una qualche giga, in Spagna si arricchiva di qualche tono melodico andaluso: sta di fatto che la si sentiva ovunque, senza che alcuno riuscisse a individuarne l’origine.

La conferenza stampa del presidente, circondato dai saggi – i vertici del Cnr, di vari enti e istituzioni scientifiche, mica pasta minuta: anche se dal Cern Rubbia mandò un cortese telegramma di diniego motivato con la descrizione una serie di ricerche in corso che avrebbero richiesto un altro comitato di saggi per la decifrazione – e avremmo dovuto mangiare la foglia allora… – fu imbarazzante. Abbastanza, alquanto, piuttosto, de-ci- sa-men-te: variarono gli avverbi a seconda delle testate, ma imbarazzante risultò un giudizio condiviso. Il giorno dopo: perché sul momento, quando i saggi consegnarono con gesto plateale e lento (affinché le foto non venissero mosse) la relazione al presidente, e l’ultraottuagenuario custode della Costituzione rappresentante dell’unità nazionale la scorse, e poi la lesse, nessuno batté ciglio, lì per lì. Con parole forbite ed ellissi elusive, i saggi mandavano a dire che per spiegare il fenomeno, stante la divisione che si era creata all’interno del comitato, era necessaria un’autorità super super partes, il cui indiscusso prestigio sopravanzasse la possibilità di contestazione: e fin qui ci poteva stare. Ma quando il presidente lesse il nome dell’autorità alla quale i saggi chiedevano di sciogliere il nodo nel quale loro stessi erano rimasti intrigati, e col leggero, quali impercettibile tremito di voce che inclinava alla cadenza partenopea l’impeccabile italiano con cui il Presidente si esprimeva, venne pronunciato il nome di Rita Levi Montalcino, nessuno ebbe qualcosa da ridire. Neanche sul lapsus che trasformava il premio Nobel in un Brunello. Senza che alcuno sembrasse accorgersi dello stato confusionale in cui i vertici della ricerca scientifica e lo stesso presidente erano caduti: il presidente sorrideva, ringraziava i saggi schierati alle sue ali destra e sinistra, ripiegava il comunicato e lo infilava nella giacca scura di taglio sartoriale. E del resto: vuoi contraddire il presidente? Se lo dice lui, evidentemente sei tu in errore… Questo dovette essere il pensiero dominante, sempre che la spiegazione non fosse un’altra: che almeno per una parte dei presenti Rita Levi Montalcini non fosse morta, perché non avevano ricevuto notizia o l’avevano rimossa. Finché, mentre già qualche giornalista si allontanava in fretta senza aspettare l’uscita dei saggi e del presidente, dal fondo della sala uno di quelli che scrivevano tre articoli al giorno per 10 euro lordi cadauno alzò il tablet e domandò se Rita Levi Montalcini non fosse già morta da tempo. Mentre un’indecifrabile espressione cominciò a farsi strada tra i saggi, il presidente mormorò qualcosa al suo addetto stampa, facendo cenno al cronista rimasto col tablet alzato sotto gli occhi di tutta la sala: si dice abbia chiesto se per caso non si trattasse di una testata ungherese.

Ecco in quale situazione eravamo, quando si fece avanti il presidente del Consiglio.

Quando la musica delle stelle (così l’aveva soprannominata un conduttore di programmi pomeridiani) arrivò in Italia, cominciarono ad accadere le stesse cose già viste altrove. Nondimeno, un ingenuo stupore sembrava pervadere la descrizione degli effetti. Come in Grecia, in Irlanda, nella penisola iberica, perfino in Islanda, aggiungeva qualcuno ben informato – ma vai a spiegare dov’è l’Islanda, in un paese che ha tolto la geografia dalle materie di studio per risparmiare quattro spiccioli – per effetto della musica i lavoratori rimanevano davanti ai cancelli delle fabbriche o all’esterno dei negozi; i trasportatori rallentavano la velocità dei Tir, senza intasare le autostrade, perché anche gli altri automobilisti si incolonnavano volentieri dietro i vecchi bisonti spernacchianti provenienti dall’est per meglio seguire il ritmo della melodia. Si usciva di casa per andare a pagare le bollette, le tasse, i mutui o gli affitti: e spesso non si arrivava ad entrare negli uffici postali o nelle banche; e nel caso qualcuno vi riuscisse, era un terno al lotto trovare l’impiegato dietro lo sportello. E poi bisognava anche cercare il bancomat funzionante per il prelievo in contanti, perché le linee erano sempre sovraccariche e non si potevano effettuare pagamenti on line: e del resto, senza linea anche il prelievo risultava arduo. Insomma, si produceva meno, si trasportava meno, si acquistava meno, circolavano meno merce e meno denaro, i conti bancari si assottigliavano, gli scoperti si scoprivano sempre di più, e ciascuno di questi effetti retroagiva sulle cause rilanciandole.
La gente stazionava per le strade, fronteggiata dalle forze dell’ordine anch’esse trattenute nella pubblica via dall’ascolto della musica misteriosa, che aveva preso le sembianze di una canzone di Baglioni riarrangiata da Claudio Simonetti dopo una cena a base di peperonata troppo condita.
E poi, come già era accaduto in Grecia, nella penisola iberica e nelle isole britanniche (per la maggior parte degli italiani comprendenti anche l’Islanda), dove la musica riecheggiava sonorità in stile Led Zeppelin, cominciarono a cadere le pietre. Grandi come ciottoli, al massimo come sampietrini, spesso più piccole: ma sempre pietre.
Il nuovo ministro degli Interni le attribuì a facinorosi con intenti politici, citando fonti che attestavano la presenza di infiltrati provenienti dalla Grecia: in questo concorde col collega ellenico, anche lui espressione della ritrovata unità nazionale, anche lui convinto della presenza di infiltrati stranieri. Solo il ministro islandese non fece cenno a provocatori stranieri: chi, del resto, crederebbe all’esistenza di un Blocco Nero internazionale intenzionato a destabilizzare l’Islanda?

semo_fisici Poi intervennero gli studenti dell’università romana, che da mesi avevano occupato Fisica e poi non ne erano più usciti per meglio ascoltare, dai tetti degli edifici, la musica. Quegli stessi che avevano confutato la tesi che i candelotti lacrimogeni sparati tempo addietro sui manifestanti dagli agenti appostati sui tetti del ministero fossero candelotti sparati dal basso e ricaduti con un movimento a parabola; quegli stessi che avevano prodotto un manifesto con un disegnino, quattro linee, la misura di un paio di angoli e il calcolo delle traiettorie, corredati dalla frase Semo fisici, nun ce fregate. Quegli stessi, con un manifesto scritto a pennarello dal titolo Aridaje: semo ancora fisici, spiegarono che le pietre piovevano dal cielo.
La coda di una cometa, si venne a sapere più tardi.

E dunque toccò al capo del governo farsi avanti: dopo aver rinsaldato l’unità della nazione e riportato in vita, con un magistrale esercizio di respirazione bocca-a-bocca politica, idee e sentimenti di un passato che pareva dimenticato, si assunse l’incarico di ricostituire l’unità del sapere, fornire una spiegazione razionale che assolvesse il governo da ogni responsabilità e consentisse il ritorno all’operosità della nazione tutta. Più o meno lo stesso accadeva nel resto d’Europa, con un conseguente intreccio di incontri bi- o trilaterali tra i capi del governo. Nel frattempo, mentre l’Europa cercava un idem sentire da comunicare agli altri paesi occidentali – ed anche, suggeriva qualcuno, a quelli che sulle carte politiche dell’Occidente e sulle agende degli anni Settanta non c’erano – anche la musica si globalizzava.
Sulla costiera toscana, infatti, mentre il presidente del Consiglio Letta era a Bruxelles in un vertice preannunciato come risolutivo, qualcosa di simile a Waltzing Matilda – una bush ballade australiana – risuonava nell’aria quando un inatteso rialzo della marea provocò l’inondazione del litorale da Forte dei Marmi a Castiglioncello, con mezzo metro d’acqua nelle città costiere, ma soprattutto l’esondazione del lago di Massaciuccoli, le cui acque assediarono Pisa per giorni. Il tutto, secondo uno studio della Normale, causato da un movimento reciprocamente attrattivo delle isole Gorgona e Capraia: pochi centimetri, ma sufficienti a fare il disastro.

Fu proprio nei luoghi della calamità naturale che il presidente Letta organizzò la sua conferenza stampa a reti unificate. Nessuno dei suoi colleghi di governo si presentò all’appuntamento: tutti i ministri, viceministri, sottosegretari convocati affermarono di essersi trovati sui treni locali rimasti bloccati nelle stazioni secondarie per lasciar passare il Freccia Rossa del presidente. Conseguenze della riduzione della diaria e dei rimborsi, si disse. Sarà… nessuno tra i pendolari toscani rimasti a tirar giù madonne per ore mentre la musica saliva e i sassi cadevano sui tetti dei treni dei puffi del trasporto locale ricorda di aver visto un ministro in carrozza: ma del resto, chi conosceva le facce dei nuovi ministri?
Tuttavia l’impassibilità del presidente Letta a fronte degli eventi era ormai diventata proverbiale. Il presidente salì sul palco, e iniziò a leggere la relazione. Tutto intorno la musica cresceva, e cominciarono a cadere alcuni corpi più consistenti di un sampietrino. Ben più consistenti di un sampietrino.
Il Presidente era ancora ai saluti di rito, quando un’ombra calò sul palco. L’ombra fu seguita da un suono fragoroso, un rimbombo circondato da una spessa nube di polvere che per qualche istante occupò gli occhi e le gole dei presenti.
Poi la polvere si posò, e il rombo si sciolse in un sibilo nei timpani.
Dopo il boato assordante, con le orecchie che fischiavano, sentivamo ancora quella musica.
Dove fino a un istante prima si trovava Enrico Letta, capo del governo di larghe intese, si apriva una spaventosa voragine. Dall’enorme cratere si levavano nubi di fumo nero.

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