Ieri mattina Ferrara si è ritrovata inaspettatamente teatro di una singolare iniziativa artistica. Una lunga pista di gesso tracciata da piazza Travaglio fino al Duomo ha accompagnato i cittadini ferraresi lungo un percorso guidato che ha unito alcuni punti simbolici in luoghi chiave della città, nei quali passanti e curiosi hanno potuto assistere a varie performance e installazioni artistiche evidenziate da una successione di otto cerchi concentrici tracciati in terra. Scopo dell’iniziativa era richiamare l’attenzione dello spettatore e stimolarlo ad una riflessione attiva “sull’estetica del disastro”, tema portante del workshop organizzato dal sindacato studentesco Rua, che dalle aule della facoltà di architettura di Ferrara ha poi dato vita all’idea della performance. L’idea degli organizzatori era quella di guidare i cittadini ferraresi “attraverso un percorso per una nuova scoperta del proprio spazio urbano”.
Creatori attivi dell’opera sono stati alcuni studenti dell’università di Ferrara, affiancati da un team di esperti nel settore provenienti dall’ associazione Art Kitchen di Milano, capeggiato dall’artista poeta di strada Ivan Tresoldi e dai suoi collaboratori Martina Rubini (assistente) Jacopo Ferrara (storico) e Matteo Albertini (semiologo). “Volevamo portare la nostra esperienza come guida – afferma Tresoldi – per stimolare gli studenti a sviluppare concretamente un azione artistica al fine di reintegrare nel contesto urbano “la parola” come denuncia di una volontà sociale che attualmente non ha canali di comunicazione. Abbiamo lavorato partendo da un idea di base sul tema del disastro stimolando l’immaginazione dei partecipanti e fornendo strumenti teorici e tecnici per una realizzazione efficace di un messaggio pubblico e rispettoso nei confronti del contesto che ci accoglie. La città come una pagina bianca da utilizzare per lanciare un messaggio atto alla riflessione sociale.”
Tra gli ideatori dell’iniziativa anche Alessandra Paolicelli, che nell’isola pedonale tra piazza Trento Trieste e corso Porta Reno ha dato vita a una performance intitolata “Stop-emotion”, in cui veniva simulata l’esperienza del risveglio nel cuore della notte durante il terremoto. Una rappresentazione partita addirittura alle 5 di mattina, di fronte ai pochi reduci della notte in centro, e terminata alle 12 di sabato di fronte a centinaia di spettatori. “L’obiettivo – spiega la Paolicelli – della performance è stata quella di presentare una denuncia che parte dalla vicenda del terremoto e si inoltra tra le pieghe del più attuale tra i tabù sociali ovvero il tema della perdita delle sicurezze e della povertà. Ho abitato la piazza durante la notte per esorcizzare la paura di un futuro incerto in un contesto sociale che ci obbliga ad avere una fissa dimora ma non può assicurarci la possibilità di averla, per un uomo che ha paura di ammettere i propri limiti nei riguardi di un ambiente che ha invaso, che ha rifiutato di essere uguale agli altri divenendo rigido e totalmente dipendente, anche in maniera dominante, delle strutture sociali su cui fa cieco riferimento. In questo momento politicamente storico sentiamo il bisogno di salvarci evadendo dall’imposizione di uno stile di vita, imposto subliminarmente dall’architettura domestica, dall’urbanistica, da una tradizione che mai più ci rappresenta e dai media televisivi”.
Incuriositi e sorpresi dalle inaspettate performance, molti ferraresi si sono fermati per chiedere spiegazioni ai ragazzi impegnati nelle rappresentazioni artistiche, che hanno commentato con entusiasmo la riuscita dell’iniziativa. “La performance ci ha portato, grazie alla collaborazione dei tutor del workshop e dei nostri colleghi, al raggiungimento di una catarsi emotiva che abbiamo deciso di vivere anche collettivamente per rappresentare simbolicamente il disastro. Che la città diventi la nostra casa, abitiamola attivando una rete di sensibilizzazione per chi una casa non l’ha e verso chi ha dei figli che rischiano di non averla”.