Lettere al Direttore
10 Marzo 2013

Ricordo di Mario Roffi

di Redazione | 3 min

Il 29 settembre scorso è caduto il centenario della nascita di Michelangelo Antonioni (29 settembre 1912 – 30 luglio 2007), uno dei padri della modernità cinematografica.

Ed in attesa che sia ricordato sempre più è giusto e doveroso ricordare che il 1912 ha visto la nascita di altri ferraresi importanti per la cultura ferrarese come  i poeti dialettali Alfonso Ferraguti, Bruno Pasini, il pittore Gigi Maini, per non citarne che alcuni.

Ed anche Mario Roffi, uno degli ultimi mecenati, tra l’altro, per Ferrara, lui modenese – spilambertese – per nascita, era del 1912, lo stesso anno dei grandi citati. Ed in questi primi giorni di marzo si ricorda il 18° anno dalla sua scomparsa, avvenuta per una  banale incidente stradale in quel di Cona.

Troppo noto è il suo operato per ricordarlo ancora ai ferraresi che ultimamente, a onor del vero e per fortuna, sono un po’ meno smemori nei suoi confronti.

Fu, peraltro, presidente ma, soprattutto, guida, timone, méntore e …molto più dell’Orchestra a Plettro “Gino Neri” – un’altra gloria tota nostra che portava, in origine, l’appellativo Regina Margherita, in onore della regnante savoiarda –      quest’ anno giunta sulla soglia dei 115 anni.

A lui si deve – è sempre bene ricordarlo – il ritrovamento di Madonna Frrara ch’è vvgnù in Villa, manoscritto del XVII secolo tra le raccolte della Biblioteca Estense di Modena da lui poi portato a Ferrara alcuni anni prima della sua morte perché anche nella nostra città ce ne fosse almeno copia fotografica e micro-filmica.

Il testo, opera di Anonimo, rappresenta l’autentico prodromo del teatro dialettale ferrarese ed è scritto in una lingua ancora rivierasco-padana, ‘madre’, a tutti gli effetti, della nostra dialettale.

Per non dimenticare di ricordarlo quindi, piace annoverarlo fra i migliori estimatori, non solo della nostra cultura a tutto tondo, ma della nostra lingua dialettale in particolare – come lo fu di altri dialetti e di altre lingue: fu, infatti, tra l’altro, ottimo francesista, notevole traduttore di grandi classici d’oltralpe come Racine, ma anche anglista di valore: di lui si ricorda la traduzione dei versi del grande John Keats insieme con Wordsworth e Coleridge, uno dei cosiddetti Lake Poets: – A thing of beauty is a joy forever – una cosa bella è una gioia per sempre – diceva –  e dei Poemi Ferraresi dell’immenso poeta romantico inglese George Gordon Byron, èditi con testo a fronte nel 1986 per i tipi di Liberty House con prefazione di Masolino d’Amico, figlio di Suso Cecchi, grande collaboratrice e sceneggiatrice per Antonioni e Visconti, per esempio.

Anzi piace proprio in questa sede ricordare le ultime frasi della prefazione di Masolino ‘a maggior gloria di Mario’:

“ (…) Due parole, infine, sulla versione italiana: Byron come si sa scoraggiava le traduzioni delle proprie opere, soprattutto, se aveva sentore che non si sarebbe tenuto conto dei complessi giochi di rime in cui eccelleva; inoltre era TRADUTTORE egli stesso e forse di nessun suo lavoro manifestò la fierezza che espresse quando ebbe terminato di rendere in inglese il “Morgante Maggiore”. D’altro canto dare oggi il senso della strofa byroniana sembra impossibile, soprattutto in un’epoca che di solito accetta, senza batter ciglio, come traduzioni di versi delle pagine di prosa dove non si dà nemmeno la ricerca di un ritmo o di una concisione particolare. Io credo che con buona pace dell’Autore la soluzione proposta da Mario Roffi nelle pagine seguenti – ‘sciolti’, vocabolario estremamente sorvegliato, scorrevolezza – sia la sola possibile oggi, a condizione di saperci arrivare con altrettanta elegante levitas”.

Maria Cristina Nascosi Sandri

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