Lui la picchiava. Lei si vergognava. E taceva. Tanto da inventarsi le scuse più disparate per nascondere quanto avveniva all’interno delle mura domestiche. Si erano sposati nel 2005, entrambi quarantenni, lui, di origine marocchina, lei ferrarese. Ma ben presto per vari problemi il loro matrimonio naufragò, lasciando tra di loro la scia di calci, pugni, schiaffi che lei sopportava in silenzio. Anche quando in una occasione la minacciò con un coltello alla gola. Persino la prima volta che finì in ospedale perché con un pugno le aveva rotto il timpano di un orecchio. Disse che era stato il cane. Solo l’ultima volta che dovette ricorrere alle cure dei medici, il 29 agosto del 2010, si decise a spiegare il vero motivo di quei segni sulla pelle. In quell’occasione il marito l’aveva frustata con un tubo di gomma, lasciandola semiincosciente a terra.
Subito partì la denuncia per maltrattamenti in famiglia e, dopo le indagini, il processo. Che si è concluso ieri, con il pm Elisa Bovi che ha chiesto la condanna dell’imputato, Noreddine Radimi. Il giudice Silvia Giorgi gli ha comminato una pena di due anni e sette mesi, più una provvisionale di 7mila euro.
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