Dirsi “cialtrone” tra politici non è un’offesa. Non che vada incentivato, per carità, soprattutto in un clima politico come quello italiano, dove la parola in questione suonerebbe quasi un vezzeggiativo se paragonata agli standard espressivi cui televisioni e giornali ci hanno abituati.
È stato dello stesso avviso il giudice Luca Marini del tribunale di Ferrara, che ieri ha assolto Rodolfo Sani, 51enne esponente del Pdl di Poggio Renatico – oggi capogruppo in consiglio dei berlusconiani – dall’accusa di diffamazione aggravata nei confronti del sindaco Pd di Berra Eric Zaghini, 39 anni. Sani era entrato in una discussione su facebook che riguardava un suo collega di partito, Stefano Grillanda, capogruppo dell’opposizione di un altro paese, Berra.
Il casus belli. Era l’agosto del 2009 e nel paesino del Basso Ferrarese infuocava un aspro dibattito tra maggioranza e minoranza sull’orario del consiglio comunale. A Grillanda che chiedeva di posticipare le assemblee per consentire a chi lavorava di poter arrivare in tempo, Zaghini ricordava la possibilità di ottenere permessi retribuiti validi per tutto l’arco della giornata. Posticipare l’orario avrebbe comportato costi aggiuntivi per l’amministrazione (straordinari all’agente di polizia municipale).
Una scelta, quella del sindaco, che invece per Grillanda era dettato unicamente dal motivo della residenza del primo cittadino, che abita a Ferrara. A documentazione della diatriba le parti (Zaghini, costituitosi parte civile, era assistito dall’avvocato Rosalia La Barbera) hanno prodotti in aula gli articoli di allora di Estense.com.
Il dibattito, ogni miccia è buona, rimbalzò su facebook e Sani si inserì nella discussione, dando del “cialtrone” a Zaghini. Questi lo denunciò per diffamazione e, nonostante l’offerta di scuse pubbliche e la rimozione del post incriminato, la questione finì in tribunale. Fino a ieri, quando l’avvocato Alberto Balboni, difensore del poggese, ha portato sentenze e precedenti a riprova del fatto che “cialtrone” rientra ormai a buon diritto nell’armamentario di schermaglie tra parti politiche. Anzi, tra le numerosi e multiformi armi a disposizione delle lingue di amministratori, segretari, presidenti e parlamentari, la parola in questione è quasi un giocattolo.
Il dibattimento ha convinto anche il pm Stefano Antinori che come pubblica accusa ha chiesto l’assoluzione. Così il giudice Marini, che ha emesso sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato.
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