Due venerdì fa si è svolta a Ferrara una iniziativa dell’Istituto di Storia Contemporanea, che ha avuto come filo conduttore la vicenda dei Carabinieri che furono deportati in Germania dopo l’occupazione tedesca del nostro paese e dopo che il governo fascista aveva messo i militari dell’Arma di fronte alla scelta di aderire alla RSI o, appunto, passare in prigionia. Ora, per scrupolo di storico militare, penso sia bene chiarire che la vicenda dell’Arma nella repubblica di Mussolini non è “ancora tutta da indagare”, come è stato detto nel corso della manifestazione, ma in realtà in gran parte ormai nota.
Il sacrificio dei Carabinieri deportati risulta infatti particolarmente ammirevole per un motivo: chi non disse “no”, fu poi inglobato nella Guardia Nazionale Repubblicana, giurando fedeltà al governo di Salò e sostituendo le stellette sopra gli alamari con la doppia “emme” della risorta milizia, come da disposizioni emanate dal gerarca Renato Ricci fin dalla creazione di questa forza armata (si vedano le foto allegate degli alamari dei carabinieri della GNR e una immagine di propaganda del loro giuramento alle autorità fasciste). Quanti furono gli aderenti è difficile valutarlo, perché se a Roma la deportazione dei militi fu pressoché totalitaria ed effettuata in un’unica tornata, altrove le modalità furono diverse (a Torino e a Milano, per esempio, i Carabinieri “recalcitranti” furono portati in Germania solo nell’estate 1944), mentre nell’Italia nord-orientale, divenuta un protettorato tedesco (Adriatische Kustenland) non furono molestati, mantenendo divisa e ordinamento tradizionale.
Di certo chi restò al suo posto, fu costretto, oltre che a svolgere i compiti di istituto, anche ad ubbidire a quelli che erano gli ordini delle autorità collaborazioniste, compresi quelli più sgradevoli; come ha appurato il collega ricercatore Davide Guarnieri, curatore della mostra “Deportati politici ferraresi nei campi di sterminio nazisti” (ospitata in questi giorni presso il museo del Risorgimento e della Resistenza) nell’autunno 1943 la prima tornata degli arresti di schedati politici – e purtroppo di ebrei – vide come attori principali la Milizia e i Carabinieri. Chi scrive ha riscontrato casi simili anche in Toscana e altrove: tristemente nota fu la retata degli ebrei fiorentini sfollati a Santa Croce sull’Arno, alla vigilia del Natale 1943 ed effettuata dai Carabinieri del comando di Pisa.
Sia chiaro che il punto di vista del ricercatore scientifico, è l’analisi, la ricostruzione e l’interpretazione dei fatti: non sta a chi scrive fare “la morale” della storia, specie di fronte a scelte complesse e difficili. Semplicemente, a differenza di quanto ha sostenuto l’organizzatrice e direttrice dell’Istituto di Storia Contemporanea, queste vicende non sono “poco conosciute”, ma piuttosto note, come anche quelle della Polizia o della Guardia di Finanza, tutte forze dell’ordine che furono poste di fronte a dilemmi di non semplice soluzione; potevano essere eventualmente meglio approfondite, magari invitando chi se ne è occupato e se ne occupa da vent’anni, e che non più tardi dello scorso dicembre ha curato a Pisa la presentazione del volume che il giovane studioso Federico Ciavattone ha dedicato alla memoria di Vittorio Bellipanni, capitano dei carabinieri e medaglia d’argento della prima guerra mondiale.
Cordiali Saluti,
Andrea Rossi