
Una riproduzione artistica di un plesiosauro realizzata da Adam Stuart Smith (fonte Wiki Commons)
Chiusa in un cassetto per quasi vent’anni, nessuno poteva immaginare che dal museo Leonardi di Ferrara sarebbe apparsa una delle più importanti scoperte paleontologiche degli ultimi anni. Stiamo parlando dei primi e unici resti in stato di buona conservazione trovati in Italia di un plesiosauro marino, un gigantesco rettile predatore acquatico vissuto durante il giurassico superiore, circa 200 milioni di anni fa. La scoperta è stata fatta da due paleontologi dell’università di Bologna, Andrea Cau e Federico Canti, esortati verso la fine del 2011 dai direttori del museo ferrarese Benedetto Sala e Roberta Pancaldi a indagare su un reperto presente da tempo ma mai studiato a fondo. Il ritrovamento infatti risale alla metà degli anni ’80 quando, come racconta lo stesso Andrea Cau nel suo blog, “i resti fossili di un grosso animale furono estratti da una cava di Rosso Ammonitico presso Kaberlaba, vicino a Vicenza”.
E in quel momento che comincia la ricerca dei due studiosi, che arriveranno a pubblicarne i risultati sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Acta Palaeontologica Polonicà: dai primi dubbi sull’identità dello scheletro, che dalle prime ipotesi sembrava essere un ittiosauro o un coccodrillo marino, attraverso tutto il percorso che restringeva sempre più il cerchio lasciando una sola, incredibile possibilità: un plesiosauro, l’unico mai ritrovato in buono stato di conservazione.
Per immaginare l’aspetto dell’animale basta pensare al leggendario Mostro di Loch Ness, che non a caso alcuni fantasticavano essere l’ultimo esemplare vivente del rettile marino. Le varie specie di plesiosauri tuttavia variavano molto in forma e dimensioni, a seconda della provenienza geografica e dell’era preistorica che ne avevano determinato l’evoluzione. Secondo Cau “per ora non è possibile identificare nel pliosauro italiano i caratteri diagnostici di Peloneustes, né di altri generi pliosauridi: per questo motivo, abbiamo evitato di attribuire l’esemplare ad una specie precisa, né abbiamo istituito un nuovo taxon”. Ciò che si può già determinare con più precisione è invece l’età del reperto: “il pliosauride di Kaberlaba è stato rinvenuto in un preciso livello del Rosso Ammonitico Intermedio, che ci premette di datarlo tra la fine del Calloviano e la metà dell’Oxfordiano (circa 160 milioni di anni fa)”.
Il reperto è composto da circa 70 ossa, e l’esemplare doveva essere lungo tra i 3 e i 4 metri. Benchè sia il primo scoperto in Italia, la sua presenza non deve meravigliare troppo, dal momento che, come testimoniano i numerosi fossili scoperti nelle zone montane, all’epoca la penisola italiana era ancora coperta dalle acque. Motivo per cui, secondo i paleontologi, le scoperte potrebbero essere solo all’inizio: “Si spera che prossimamente – scrive Cau – nuovi esemplari possano essere rinvenuti nel Rosso Ammonitico, e possano chiarire ulteriormente le affinità evolutive e lo stato tassonomico di questo pliosauride”.
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