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5 Dicembre 2012
Due opere di Antonio Canova e di François Gérarde proposte per la prima volta in mostra

‘Amore e Psiche’ a Milano

di Redazione | 4 min

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Il mito narra di Psiche, principessa talmente bella da suscitare la gelosia di Venere, che ordinò ad Amore, suo figlio, di trafiggerla con una delle sue frecce per farla innamorare di un uomo brutto; ma Amore quando la vide rimase così colpito dalla sua bellezza che se ne innamorò. Disobbedendo alla madre la fece portare da Zeffiro in un magico palazzo dove i due si giurarono amore eterno. Ogni notte, in segreto, Amore andava a incontrarla, ma data l’impossibilità per un dio di amare un essere mortale, fece giurare alla donna che non avrebbe mai guardato il suo volto nel sonno, pena la loro separazione. Psiche però, istigata dalle sorelle, volle osservare alla luce di una lanterna l’innamorato che svegliandosi fuggì. La fanciulla in preda alla disperazione per la perdita dell’amato, prese a vagabondare disperata finchè giunse nel palazzo di Afrodite che la ridusse in schiavitù. Ma Eros, che non poteva a sua volta trovar pace senza Psiche, riprese a incontrarla, e alla fine i due l’ebbero vinta sulla gelosia di Afrodite e restarono uniti per l’eternità.

Questo è senza dubbio uno tra i miti più affascinanti della classicità che ritrova modernità e incanto nell’esposizione straordinaria di “Amore e Psiche” stanti, della scultura di Antonio Canova, e di “Psyché et l’Amour”, il dipinto di François Gérarde.

Le due opere sono proposte per la prima volta insieme grazie a Eni, in collaborazione con il Museo del Louvre, a Milano nella tradizionale mostra ospitata, per il quinto anno consecutivo, dal Comune di Milano, in Sala Alessi, a cura di Valeria Merlini e Daniela Storti ( catalogo Rubbettini Editore), aperta fino al 13 gennaio 2013.

Canova, lo scultore di Possagno, aveva già realizzato tra il 1789 e il ’92 una Psiche Stante con una farfalla in mano, da questa prima idea sboccia il gruppo con le due figure stanti abbracciate tra loro. Nella composizione domina la figura di Psiche, sia per l’altezza, che per il sinuoso movimento delle mani e delle pieghe del drappo sui fianchi. L’opera è in una sognante atmosfera di abbandono quasi che l’anima (Psiche), venga riscaldata e protetta dall’amore celeste (Amore). Canova esprime con perfetta maestria il rapporto tra Amore e Psiche, un amore fatto di gesti, carezze e lieve vicinanza dei corpi. I due bozzetti, al Museo Correr di Venezia e al Museo e Gipsoteca di Possagno, fissano la prima idea, rapidissima, striata con la stecca sull’argilla per cogliere un istante della rappresentazione che sarebbe stata sviluppata nel primo modello al naturale ed in argilla. Dal bozzetto fu ritratta la forma per la realizzazione del modello in gesso definitivo, che è nella Gipsoteca. Il marmo alto 145 cm, ha un’intenzionalità che per la modulata finezza è proprio definire pittorica; proprio in un inconsapevole specchio, Gérard dipinge una tela il cui modellato è proprio definire scultoreo. Ciò detto le due opere, accomunate da questo sottile gioco del ribaltamento dei ruoli formali, non hanno nulla in comune nel rappresentare il mito di Amore e Psiche. Canova a partire dal 1796 per alcuni anni lavorò a questo gruppo su commissione del colonnello inglese John Cambell che aveva incontrato a Napoli nel soggiorno del 1787, ma l’opera non giunse mai in Inghilterra per la difficoltà del trasporto e fu acquistata dal maresciallo Gioachino Murat, futuro re di Napoli, che la collocò nel castello di Compiégne: questo è l’esemplare al Louvre, mentre la seconda versione con variazioni sul panneggio di Psiche – dopo un giro per l’Europa – giunse in Russia ed è all’Ermitage di San Pietroburgo. Il soggetto di Amore e Psiche risale ad Apuleio, ma Canova nell’iconografia attinse a un dipinto di Ercolano con Fauno e Baccante, e sappiamo quanto fu importante per lo scultore la visita agli scavi delle città vesuviane dissepolte. Quel che va sottolineato è il pensiero che ispira il gruppo: non è né grazioso né eroico, poetiche congeniali a Canova e al Neoclassicismo, ma piuttosto una riflessione sul concetto di anima, cioè “psiche” in greco, che assume le sembianze della farfalla che la fanciulla regge per le ali.

Françoi Gérard, nato a Roma nel 1770 dove visse fino a dieci anni, aveva madre italiana e sposò un’italiana, ritornò a Roma dal 1782 al ’86, e poi ancora tre anni all’Accademia di Francia. A Parigi nel 1786 era stato ammesso nell’atelier di Jacques-Louis David, in un clima di grande vivacità, di nuovi fermenti culturali e di ricerca appassionata.

Il dipinto di Gérard è appunto l’esito di una ricerca innovativa e nell’iconografia prescelta ha una variazione molto sensibile rispetto al gruppo canoviano: Psiche è seduta su un sasso, Amore si accosta a lei in piedi, le bacia la fronte e ha due vistose ali. La tela che misura 186 per 133 cm, fu esposta al Salon dell’anno VI nel 1798 e incarna un’idea di bellezza raffinata e sublime, che evoca la pittura rinascimentale. Psiche ci guarda con il suo bellissimo volto di raffaellesca eleganza, mentre il giovane è visto di profilo col corpo reclinato per accostarsi all’amata.

In questa atmosfera metafisica nell’unione dell’anima umana e dell’amore divino, la farfalla volteggia sul capo della fanciulla e non tra le sue mani.

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