di Maria Paola Forlani
L’esposizione Giovanni Bellini. Dall’icona alla storia, in programma fino al 25 febbraio 2013 al Museo Poldi Pezzoli di Milano, a cura di Andrea De Marchi, Andrea Di Lorenzo, Lavinia Galli e Annalisa Zanni (catalogo Allemandi) racconta il rapporto del maestro veneziano con il tema della Pietà, ripercorrendone la produzione artistica giovanile.
La mostra che nasce in seguito al restauro dell’Imago Pietatis di Giovanni Bellini, uno dei capolavori del Museo, illustra l’evoluzione formale dell’iconografia della Pietà nella produzione giovanile di Giovanni Bellini tra il 1457 circa e il 1470 circa attraverso l’esposizione, uno a fianco all’altro, di quattro straordinari capolavori dell’artista raffiguranti questo soggetto conservati al Museo Poldi Pezzoli, all’Accademia Carrara di Bergamo, al Museo Correr di Venezia e al Museo della Città di Rimini.. Lo schema figurativo dell’Imago Pietatis, nato in ambito bizantino in età medievale, viene aggiornato e sviluppato dall’artista veneziano grazie alla raffigurazione naturalistica del corpo di Cristo, all’aggiunta del paesaggio come sfondo della scena e all’introduzione di altri personaggi sacri accanto alla figura di Gesù. Nella mostra sono presenti inoltre le opere del Rinascimento veneto del Museo Poldi Pezzoli realizzate nel terzo quarto del Quattrocento, come la Madonna in trono con Bambino e angeli di Antonio Vivarini, la piccola Deposizione dipinta su pergamena di Lazzaro Bastiani, la Madonna con il bambino dello stesso artista e la Crocefissione di Alvise Vivarini, che dimostrano quanto l’innovativo linguaggio artistico belliniano influenzò gli altri maestri veneziani suoi contemporanei.
La piccola tavola del Museo provinciale di Torcello, che introduce la mostra, databile a inizio Trecento, mostra un formato leggermente orizzontale, al centro si trova l’immagine del <<Cristo in Pietà>> raffigurato fino all’addome, con le braccia incrociate all’altezza dei polsi e i palmi delle mani rivolti verso il basso, mentre alle sue spalle sporge la posizione superiore della croce. La composizione è su fondo rosso, tradizionale e comune surrogato in area adriatica del più prezioso fondo oro, ed è completata dalle figure laterali, di proporzioni molto inferiori, di Maria e Giovanni dolenti e da due angeli travolti dal dolore alla sommità della croce. L’aggiunta a Torcello delle figure dolenti, assenti nelle raffigurazioni orientali, dimostra come l’artista veneziano abbia utilizzato liberamente il modello bizantino di partenza inserendo in una composizione iconica elementi narrativi connessi all’episodio storico della crocefissione. Un’interpretazione di grande attualità, promossa, tra Due e Trecento, dagli ordini mendicanti che predilessero la funzione didattica e didascalica dell’immagine nell’illustrare la passione di Cristo in forma di racconto narrativo.
Il tema della Pietà, resta, quindi, uno dei temi più ricorrenti nella pittura di Bellini.
Nella tavola proveniente dall’Accademia Carrara, il Cristo morto viene pianto dalla Vergine, accompagnata da Giovanni Evangelista. Le tre figure sono rappresentate a mezzo busto dietro un parapetto, che allude al sepolcro, ma anche all’altare della Messa. La scena ha infatti diverse implicazioni simboliche: l’evocazione indiretta della Passione – le stigmate sono volutamente ostentate – ricorda che dal sacrificio di Gesù dipende la Salvezza dell’umanità. Al messaggio teologico si associa quindi quello emotivo: scopo del dipinto è far riflettere lo spettatore, ma anche suscitare la sua empatia. Maria e Giovanni si stringono intorno al corpo senza vita di Cristo, la cui testa si piega, appoggiandosi contro quella della Madonna. Gli occhi arrossati dei due dolenti si riempiono di lacrime e ogni tratto dei loro volti è piegato in un’espressione di sofferenza. L’Imago Pietatis è un’altra versione del tema del Cristo morto, qui presentato da solo. La figura è vicina a quella del Cristo morto tra la Madonna e san Giovanni di Bergamo: anche in questo caso il Salvatore è rappresentato con gli occhi chiusi, la testa inclinata in avanti e cinta dalla corona di spine, le braccia incrociate, con le dita ancora contratte a causa dell’inchiodatura della croce. Giovanni decide, però, di non aggiungere stavolta alcun coprotagonista e diversa è dunque l’intonazione emotiva dell’immagine, che tende a placarsi nello sfondo del paesaggio e nel cielo rosato, che introduce una nota serena.
L’opera suggerisce reverenza e contemplazione e anche se la drammaticità è meno esasperata, la scelta di collocare il corpo di Gesù all’interno del sepolcro ne ricorda la Passione e la morte.
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