Sarà Twitter, con i suoi cinguettii di pochi caratteri, a riaprire quello spazio di libertà che i media tradizionali non garantiscono più? Sarà l’ultima nata fra le piattaforme di comunicazione (dopo i blog e dopo Facebook) a offrire il medium adatto per la comunicazione democratica, indipendente e aperta ai cittadini?
Se ne e’ parlato venerdì al Festival di Internazionale nel corso dell’incontro ” Me l’ha detto l’uccellino” (l’uccellino e’ il logo di Twitter”), dedicato a “Come Twitter e i social media hanno cambiato il giornalismo”.
Francamente, il dibattito, pur fra nomi di prestigio e coordinato da Luca Sofri de ‘Il Post’, non ha fornito grandi risposte. Poco male: la questione e’ complessa e il tempo era poco. Ma anche poche idee. Soprattutto poca voglia di uscire dagli stereotipi imperanti quando si parla di libertà in Rete.
Tecnoentusiasti da una parte come Marina Petrillo, di Radio Popolare, che addirittura odia il “vecchio” Facebook, e che ritrova nella comunità dei cinguettanti i più profondi affetti famigliari, e i tecnoscettici dall’altra, come David Randall, il vecchio simpaticissimo leone dell’ Indipendent on Sunday, che ricorda ai giornalisti di discriminare i commenti dai fatti e, oggi soprattutto, dalle “chiacchiere” (su cui si fondano, appunto, la “ricchezza” dei contenuti dei social network).
Senza negare l’insostituibile utilità del lavoro di chi, come Sultan Al Quassemi , giornalista degli Emirati Arabi, ha twittato “in diretta” fasi cruciali della Primavera araba, resta la questione di fondo (posta anche in questo blog da Nerone e dai successivi commenti) a proposito degli innegabili spazi di libertà offerti dalla Rete, che non si risolvono però automaticamente nella tecnologia (“…La critica al web 2.0 deve essere rivolta non al mezzo…”).
Insomma, è ancora una volta il problema tutto irrisolto, e mai definitivamente risolvibile, del rapporto fra media e potere. Li è il nodo, a livello globale come a livello locale.
E, tanto per cominciare e entrare nel concreto, bisognerebbe ascoltare con attenzione chi come Elena in questo blog parla della “ … presenza di giovani che di cose buone ne fanno, mettendo in campo competenze diverse”, ma non trovano spazio.
Le facce di questo problema sono davvero tante, e le soluzioni non semplici. Ma in questo spazio di discussone emergono già elementi importanti: la necessità di un ecosistema dei media – anche locali – più vasto, vitale, aperto e accogliente per idee, esperienze e generazioni nuove; il problema della retribuzione dei giornalisti (ma più in generale di chi fornisce contenuti di Rete); la qualità e la sostenibilità economica delle pubblicazioni on line; il difficile equilibrio fra gratuità, dono, e lecito profitto ( i “diversi modelli di sostenibilità”).
Non basterà un twitt.