Eventi e cultura
5 Ottobre 2012
La rivoluzione dei social network nella diffusione dell'informazione

Il Tweet? Lo decide il giornalista

di Redazione | 3 min

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“Quando posto un tweet poi mi viene voglia di andare a lavarmi le mani, mi sento sporco”. Il giornalista David Randall, impegnato per l’Indipendent on Sunday di Londra, è il più scettico degli ospiti invitati alla tavola rotonda su social media e giornalismo. Organizzato all’interno del Festival Internazionale a Ferrara, l’incontro ha cercato di fare il punto su come e quanto le nuove forme di comunicazione on line abbiano modificato la nascita e la diffusione dell’informazione.

Totalmente a favore delle possibilità offerte dal web si è schierata Marina Petrillo, sociale editor per Radio Popolare: “Twitter è una piattaforma straordinariamente umana: soprattutto per gli avvenimenti che riguardano una collettività crea un coro narrativo sul campo. I dati delle agenzie di stampa, quelli dei giornali, le voci delle persone in strada si sommano alle reazioni domestiche di chi apprende gli eventi in tempo reale: si crea un rumore di fondo simile allo story telling”.

Più scettico Randall, il quale ha posto all’attenzione dei presenti l’annosa questione dell’attendibilità delle fonti, e sulla quale – mantenendo un profilo intermedio – si è espresso anche Luca Sofri del Post: “distinguere tra le notizie vere e quelle false è sempre stato il mestiere del giornalista, le responsabilità sono sempre tutte nostre”.

Dibattito aperto anche su quanto sia cambiata la professione con l’avvento dei nuovi media. Per il giornalista britannico Lee Marshall la sostanza di fondo è rimasta la stessa – “sono strumenti che obbligatoriamente vanno utilizzati, ma la natura del giornalismo è immutata: bisogna trovare la notizia, essere indipendenti”-, per Petrillo invece la gratuità dello strumento ha permesso di aprire una finestra sul mondo impossibile da chiudere.

“Il web ha scardinato l’orizzonte del giornalismo come settore maschile e verticale – precisa l’editor – soprattutto ha dato spazio a tante voci altrimenti inascoltate, come si è visto in occasione della primavera araba. Le donne, gli attivisti arabi, tutti soggetti che non usciranno mai più fuori da Twitter”.

Sull’argomento è intervenuto anche Sultan Al Qassemi, il quale ha raccontato come in Medio Oriente spesso la presenza sui social network possa costituire per un giovane la differenza che passa tra la libertà e la prigione, tra la vita e la morte: “i governi sono assolutamente consapevoli dell’influenza dei blogger e sono attentissimi a chi li usa e a cosa pubblica”. Originario degli Emirati Arabi Uniti, Al Quassemi ha raccontato la propria esperienza di traduttore live dall’arabo all’inglese: “quando Gheddafi parlò per tre ore, a seguito della prima protesta violenta in Tunisia, twittavo un post ogni 45 secondi: ho riportato in tempo reale l’intero discorso”.

Un servizio reso senza scopo di lucro, solamente per fare in modo che l’informazione circoli. Il nodo della gratuità torna così al centro del discorso: “le collaborazioni profonde che si creano tra persone distanti migliaia di chilometri, impegnate per lo stesso obiettivo di diffondere una notizia, sono importantissime. È proprio grazie all’assenza di guadagno diretto che si riescono a cambiare le regole del gioco. Il giornalismo è cambiato: prima vinceva chi arrivava primo, adesso vince chi per primo arriva in modo giusto, onesto”, ha concluso tra gli applausi Petrillo, non nascondendo la mano impegnata sullo smartphone anche durante la conferenza.

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