Scienza e tecnologia
21 Aprile 2011
Una ricerca neozelandese ha presentato un generatore di elettricità 'morbido' e integrabile nei vestiti

L’energia che si indossa

di Redazione | 2 min

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di Roberto Benvenuti

Un nuovo tipo di generatore ‘morbido’ potenzialmente integrabile nei vestiti potrebbe rivoluzionare il nostro modo di usare piccoli dispositivi come cellulari e lettori mp3. Ha presentato la ricerca un team dell’Istituto di Bioingegneria dell’Università di Auckland, guidato dal prof. Iain Anderson.

Il progetto si basa sul funzionamento degli Elastomeri Dielettrici, detti anche ‘muscoli artificiali’, materiali elastici in grado di deformarsi se sottoposti a una scarica elettrica. La cosa interessante è che gli elastomeri funzionano anche al contrario: se vengono deformati possono generare elettricità.

“La cosa più affascinante di questo generatore è la semplicità” spiega su Eurekalert.org Thomas McKay, dottorando a capo della ricerca. “In sostanza, si tratta di una membrana elastica tra due strati di grasso di carbonio.” La membrana isolante separa due strati di carbonio, che fungono da poli. Stirando la membrana, i due ‘poli’ di carbonio si avvicinano e allontanano, generando carica elettrica.

Morbido è meglio. “Immaginate dei generatori morbidi che producono energia flettendosi e stirandosi mentre cavalcano le onde dell’oceano o mentre fluttuano nel vento come alberi”, dice McKay. Il nuovo generatore “combina morbidezza, flessibilità e leggerezza in maniera inedita. Queste caratteristiche ci forniscono l’opportunità di accumulare energia dalle risorse ambientali con una semplicità sinora impossibile”.

In passato, generatori di questo tipo richiedevano sistemi elettronici esterni rigidi e ingombranti. La nuova ricerca ha fatto un passo avanti ed è riuscita ad eliminare le parti rigide integrando l’elettronica nel muscolo artificiale. Ora il generatore ha l’aspetto di una pellicola e potrebbe essere inserito in maniera inavvertibile nei vestiti o nella suola delle scarpe, per fornirci l’energia sufficiente a caricare un cellulare o una fotocamera.

Ancora molto da fare. La scoperta neozelandese potrebbe essere un punto di svolta nella produzione dei cosiddetti ‘tessuti intelligenti’ (vedi un esempio), in particolare per la produzione di piccole quantità di energia. Ma la strada è ancora lunga affinché la tecnologia ‘morbida’ di Auckland entri sul mercato. “Al momento è tutto prodotto artigianalmente” ammette McKay, “dovremo lavorare molto sulla standardizzazione”.

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