Attualità
27 Aprile 2023
L'intervento per Estense.com di Giuseppe Scandurra, professore di Antropologia a Unife, sul discorso letto durante l'inaugurazione del 632esimo anno accademico da Alessandra De Fazio, presidente del consiglio degli studenti

Vivere ai tempi del Fondo per il finanziamento ordinario delle università

di Redazione | 10 min

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(foto di Riccardo Giori)

di Giuseppe Scandurra*

Sono un fallimento, non merito di vivere“. Non sono le parole che titola l’ennesimo giornale, riportando quotidianamente, accanto alle morti delle nostre compagne, l’esaltazione di una studentessa […]. Queste parole sono uscite dalla stessa bocca della persona che oggi sta parlando di fronte a voi. Queste parole le ha dovute sentire e subire mia madre quando dopo il test di medicina ho percepito di non avercela fatta, per la seconda volta…

Lo scorso 4 aprile, presso il teatro Comunale di Ferrara, si è svolta la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2022/2023, il 632° dalla fondazione dell’Università di Ferrara. Dopo l’intervento della ministra dell’Università e della rettrice, è intervenuta la presidente del consiglio degli studenti, che, con le sue parole iniziali (“Sono un fallimento, non merito di vivere”) ha interrotto, per sette minuti, il clima da festa che aveva fin là dominato il Teatro (clima che poi riprenderà con gli interventi finali dell’ex rettore, Patrizio Bianchi e, infine, del presidente della Repubblica).

Tale parentesi di rottura emotiva merita qualche osservazione perché parla (anche) a noi docenti dell’Università di Ferrara. La prima cosa che a mio avviso il corpo docenti di Unife dovrebbe chiedersi è quanto le parole di Alessandra De Fazio rappresentino il corpo studentesco con cui coabitiamo tutti i giorni dentro le aule.

La prima critica negativa rivolta al discorso della presidente, in questo senso, è arrivata proprio da alcuni studenti portavoci di tre liste presenti nel Consiglio di cui è a capo De Fazio. Le sue parole, hanno dichiarato durante una protesta pubblica, non sono state condivise né dall’intero Consiglio
studentesco né dalla sua maggioranza, ma riflettono solo la lista (Link) a cui la presidente appartiene (quindi una minoranza degli studenti di Ferrara).

Nei giorni successivi, le parole di De Fazio verranno riportate in forma sintetica sui principali quotidiani nazionali; questa volta le critiche negative rivolte alla presidente del consiglio degli studenti toccheranno soprattutto i contenuti del suo discorso. “Il Foglio”, per esempio, il 6 aprile apre con un editoriale dal titolo: “Cari rettori, basta retorica” (il sottotitolo chiarisce meglio: “Assurdo avallare le narrazioni tossiche sull’università e tacere i suoi meriti”). Il finale dell’editoriale non merita interpretazioni: “Perché [voi rettori, nda] non avete il coraggio di mandare sul palco studenti contenti di studi fatti con eccellenza?”.

Per rispondere alla domanda iniziale è doveroso ricordare come il discorso della presidente del consiglio degli studenti di Ferrara abbia ricalcato quelli fatti in precedenza durante altre due celebrazioni “accademiche” (2021, le parole di tre diplomate che hanno iniziato il loro discorso con “Ci riferiamo al processo di trasformazione dell’Università in senso neoliberale”; 2023, quelle della presidente del consiglio degli studenti dell’Università di Padova, la quale ha rivolto questa domanda alla platea: “Quand’è che studiare è diventato una gara?”). Allo stesso tempo, non possiamo non mettere in relazione questi “j’accuse” con la nuova stagione di occupazioni che si sono registrate nell’ultimo anno scolastico che hanno toccato numerose scuole secondarie del nostro Paese, tutte giustificate con una sola parola rivendicata da tutti gli “occupanti”: “disagio“.

Di conseguenza, nasce una seconda domanda: le parole di queste studentesse universitarie (sarà un caso che siano tutte donne?) e quelle dei loro colleghi liceali sono retoriche che appartengono a una “scolastica” che si è diffusa in ambienti “politicizzati” – e minoritari – e che nulla hanno a che vedere con quello che succede nel mondo reale, oppure dicono qualcosa anche a noi seduti dall’altra parte della cattedra? Per rispondere a questa domanda, però, è necessario, a mio avviso, esaminare queste parole – nello specifico quelle di De Fazio – nel dettaglio.

Il sovraffollamento nelle città universitarie sommato ad un mercato immobiliare inflazionato e sregolato, figlio di un assente piano di edilizia pubblica permette ai privati di lucrare sulla vulnerabile condizione della comunità studentesca e lavoratrice di tutta Italia, anche di Ferrara,
costringendola a pagare prezzi spropositati o ad accontentarsi di abitazioni fatiscenti […] Il territorio ha visto un incremento esponenziale della componente studentesca presente e nell’agosto 2022 è stato rilevato un aumento dei prezzi di abitazioni del 34% rispetto all’anno precedente.

De Fazio, nel suo discorso, ha rivolto questa accusa non solo al ministero dell’Università ma anche, declinandolo al territorio, alla giunta comunale di Ferrara. Durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico è stato proiettato un video che riassume l’eccellenza del nostro Ateneo che oggi può contare di 69 corsi di studio (14 a doppio titolo) che vengono erogati in 13 dipartimenti e che fanno vivere la città universitaria a più di 28.000 studenti e 750 tra professori e ricercatori (oltre a 550 unità di personale tecnico e amministrativo). Inoltre, 16 dottorati di ricerca (2 internazionali), 36 scuole di specializzazione, 41 centri di ricerca che portano a Ferrara più di 600 tra dottorandi e assegnisti.

Come docente sono consapevole di quanti passi in avanti abbia fatto la mia università in questi ultimi anni. Sono altresì consapevole di quanto vivere a Ferrara, sia per chi vi è nato che per chi vi ha preso casa per studiare voglia dire avere la possibilità di stare in un campus caratterizzato da un’alta qualità della vita (il capoluogo estense ancora oggi, rimane una delle città più ricche di iniziative culturali di livello e una location eccezionale per festival che portano in città tantissimi artisti e studiosi). Ma, attorno a questi eccezionali risultati, che città universitaria ha preso corpo in questi ultimi anni? Il mercato degli affitti, il costo della vita, le difficoltà di trovare un impiego retribuito – tutte condizioni strutturali e necessarie per vivere la città come studenti –, come convivono con questi indubbi “meriti”?

Il primo punto forse da mettere sotto esame (l’”ascolto” che meritano le parole di De Fazio, come ha sottolineato l’ex ministro Bianchi) è: quale è il destino delle nostre città universitarie a fronte dell’impossibilità per molti potenziali studenti di sopravvivere ai loro costi? Chi potrà permetterselo
(problema che si somma al forte calo demografico a cui stiamo assistendo nel nostro Paese)? Tra noi docenti, spesso nei corridoi accademici ci lamentiamo dello scarso livello di politicizzazione degli studenti che ci troviamo di fronte in aula. Mi domando, di conseguenza: le critiche “strutturali” (e tutte politiche) che ha fatto la presidente del consiglio degli studenti di Ferrara non dovrebbero mettere in discussione il nostro pessimismo verso le nuove generazioni e costringerci, all’opposto, in un regime di puro ascolto?

Comune, Università, Ministero qual è il compito e il ruolo che questi tre corpi politici “pubblici” debbono avere per impedire, come ha ricordato a De Fazio (“390.000 posti letto a fronte di più di un 1.800.000 studenti universitari”), “ai privati di lucrare sulla vulnerabile condizione della
comunità studentesca e lavoratrice di tutta Italia?”. Criticare la scarsa democraticità del processo che ha dato vita al discorso di De Fazio, il suo tono che alcuni editorialisti hanno ritenuto troppo vittimistico, l’eccessiva carica emotiva con cui la presidente si è rivolta al pubblico accademico (tutte critiche legittime e che meritano dibattito) non deve infatti distrarci dai contenuti strutturali che sono emersi.

“In altre epoche credevano nelle streghe e noi crediamo alla meritocrazia”, ha esclamato De Fazio. Senza entrare nel dibattito sempre più acceso sulla “meritocrazia”, ritengo che le parole della presidente vadano “ascoltate” senza filtri ideologici, atteggiamenti difensivi e reazioni paternalistiche.

La gestione neo-liberale dell’azienda universitaria si traduce nell’applicazione dell’Ffo (il Fondo per il finanziamento ordinario delle università, nda) la cui quota premiale trasforma i finanziamenti in premi per gli atenei più numerosi e performanti defraudando quelli piccoli e considerati
improduttivi che si trovano costretti a decidere se levare la contribuzione studentesca o aumentare il numero di iscritti per diventare eleggibili all’assegnazione dei premi.

“Tre progetti di rilevanza nazionale e ben 16 milioni di euro dal Pnrr”, così conclude il video promozionale dell’Università di Ferrara. Le parole di De Fazio, a mio avviso, ci riguardano perché risulta a tutti evidente come, nonostante l’impegno che noi docenti facenti parte del “governo
accademico” abbiamo profuso negli ultimi mesi per legarci alle correnti di finanziamento del Pnrr, rimane la consapevolezza di quanto questi ultimi non abbiano seguito una logica “meritocratica”, bensì siano andati a rinforzare università di “prima fascia” condannando quelli più piccoli pur meritevoli, come l’Università di Ferrara. A pagare quella che la presidente del consiglio di studenti chiama “gestione neoliberale dell’azienda universitaria” non ci sono, dunque, solo gli iscritti e le iscritte, ma noi docenti stessi, che come loro siamo gli abitanti della città universitaria.

Anche relativamente alla parte forse più “vittimistica”, meno politica e più attaccabile del suo discorso (ovvero, quando De Fazio richiama il disagio di molti studenti, i quali, nell’inseguire il “successo a tutti i costi”, si sentono inadeguati e falliti), dovremo sentirci tutti coinvolti perché il nuovo spirito aziendale dell’università è l’esito di un ciclo di riforme culminate con quella Gelmini nel 2010 che oggi, in virtù della gestione della cosiddetta “quota premiale”, ha trasformato i finanziamenti in premi per gli atenei più numerosi e performanti; se politicizziamo questo”disagio” degli studenti, come non sentirlo anche nostro?

De Fazio critica l’idea di una istruzione che sempre più si fonda su una falsa equivalenza per cui la realizzazione professionale di una persona coincide con l’utilità della stessa; ma non è questa la sensazione che viviamo quotidianamente come docenti, ovvero quella per cui siamo giudicati buoni professori e bravi ricercatori solo quando produciamo (la gestione politica della Vqr) “numeri” e “prodotti” funzionali al “sistema Accademia”?

Le studentesse e gli studenti non sono il mezzo per sostentare la formazione, il diritto allo studio deve risiedere nell’emancipazione collettiva e deve essere parte integrante e inscindibile del welfare sociale pubblico, gratuito e garantito dallo Stato per tutte come sancito dalla Costituzione.

“Il sistema universitario è classista”, dichiara la presidente del consiglio degli studenti. Anche in questo caso, senza entrare nel discorso sulla reale inclusività della nostra università”di massa”, mi domando però, in questa fase oramai stabile di crisi, come siamo passati a considerare l’ascensione ai più alti gradi degli studi “un premio”. Quanti docenti e ricercatori oggi sono (tristemente) consapevoli che la “carriera” è sempre più decisa in base a criteri (il New Public Management) per cui la qualità non è altro che una proprietà derivata dalla quantità – e della quantità contano solo gli aspetti economici.

Ma badate bene, ci viene data la possibilità di redimerci dalla nostra condizione di povertà, come fosse una colpa, a patto di esserne meritevoli, conseguendo risultati eccellenti entro periodi di tempo cadenzati e ristretti, tutto allo scopo di misurare quanto siamo performanti e catalogarci
giusti articoli di una intensa produzione con il risultato di generare grandi bilanci sacrificando il benessere e la qualità del percorso accademico.

Quanto può essere pericoloso sostenere un’idea per cui il “successo” e l'”insuccesso” non dipendono in nessun modo dal contesto sociale, dalla struttura, dalle cause concomitanti (“Se ti va bene è perché, sei un bravo imprenditore di te stesso; se ti va male è colpa tua e del tuo stile di vita”)? È del resto evidente a tutti come, nel momento in cui vi è sempre più un grande differenza tra chi ha genitori facoltosi e chi no, le borse di studio rappresentano l’unico sussidio per chi non può accedere all’università; ma allora perché non virare subito verso un sistema accessibile, gratuito e garantito smarcandosi dall’ideologia per cui “la formazione si merita” e garantendola, invece, in maniera universale? Non sono, d’altronde, anche queste differenze economiche a far sempre più la differenza anche tra i più giovani ricercatori che aspirano a diventare docenti e vivere facendo ricerca e divulgando (dentro e fuori le aule) la loro conoscenza?

Accedere alla cultura, e conseguentemente esercitare le proprie facoltà di cittadini, non può essere un privilegio. Noi ci dobbiamo meritare di studiare, di avere una casa, delle cure, esigiamo questi diritti. Non sono d’accordo a definirci ogni volta “cittadini del domani”: una scusa per procrastinare gli errori che voi, cittadini di ieri, avete fatto e le cui conseguenze le stiamo pagando noi cittadini di oggi. Abbiamo fretta e vogliamo mettervi fretta, più di quella che mettete voi a noi per laurearci, di restituirci un mondo che possa davvero appartenerci.

Sarebbe ingenuo, ci ricorda De Fazio, pensare che la trasformazione delle nostre università pubbliche (sempre più minacciate da quelle telematiche, se si pensa a quelle meno “performanti”) non sia legata all’attacco che stano subendo altri “servizi” pubblici del nostro Paese (il diritto alla sanità, quello alla casa, al lavoro etc.). Ma senza entrare in dibattiti che meriterebbero più spazio e tempo, sarebbe bello, dopo la bellissima cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2022/2023, fermarsi un attimo, noi docenti e ricercatori tutti, ad ascoltare, perché il “disagio” di uno studente, anche solo di uno, è per forza di cosa anche il nostro.

Non c’è nessuno meglio degli studenti che può parlare della propria condizione. Io ho 24 anni e mi assumo la responsabilità di ciò che dico.

Ho scelto di abitare la città universitaria di Ferrara e di lavorare per una istituzione che ha 632 anni di storia (e che, anno dopo anno, riesce ad attrarre ricercatori grazie all’impegno e all’eccellenza di tanti che vi lavorano e che la amministrano). Le parole di De Fazio mi fanno pensare che tale crescita è possibile solo se studenti e docenti perseguono un obiettivo comune, ovvero quello di convivere in un contesto (una città universitaria) sempre meno diseguale, capace di correggere una crisi (sociale, economica, ambientale, tutta politica) che mette a serio rischio la nostra stessa sopravvivenza come specie su questo pianeta come esseri umani consapevoli, con un pensiero critico e la voglia di costruire un presente più sostenibile.

*professore di Antropologia Culturale a Unife

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