L’ha presa a calci, spingendole la testa contro il muro, obbligandola al digiuno per tre giorni e consentendole di fare la doccia solo con il suo permesso. È l’inferno a cui sarebbe stata costretta per oltre due mesi una 49enne di nazionalità marocchina, per mano dell’attuale ex marito, un 64enne di origini giordane, ora imputato per i reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale continuata e aggravata dall’aver commesso il fatto su una persona a cui era legato da relazione affettiva.
I fatti risalgono al periodo compreso tra il 21 agosto e il 10 novembre 2020, quando i due, dopo tre anni di frequentazione in rete, dove si erano conosciuti quando lei era ancora in Marocco e lui già in Italia, si sposano e decidono di andare a vivere insieme a Ferrara.
L’idillio tra i due però finisce ben presto, come lei stessa ha raccontato in aula ieri (mercoledì 12 aprile) davanti al collegio giudicante – presidente Piera Tassoni con a latere i giudici Sandra Lepore e Alessandra Martinelli – descrivendo con l’ausilio dell’interprete una quotidianità fatta di continue vessazioni, da cui fatica a trovare una via di fuga.
Secondo l’accusa infatti, oltre agli insulti, alla donna – assistita dall’avvocato Sara Bruno – sarebbe stato anche impedito di uscire liberamente dalla loro abitazione e di intrattenere stabili relazioni sociali, privandola di ogni possibile risorsa economica (durante la propria deposizione, ha affermato che le avrebbe anche indicato i luoghi dove andarsi a prostituire per reperire soldi, ndr), costringendola – con violenza e minacce – ad avere rapporti sessuali completi.
Ed è proprio durante quegli attimi interminabili che l’uomo, con una frequenza di circa due volte a settimana, sotto la minaccia di picchiarla, oltre a trattarla con brutalità e insulti, la penetrava con oggetti o la immobilizzava tenendola per i capelli, arrivando a provocarle dolori al corpo, ferite alla bocca, lividi sulle gambe e arrossamenti sulle cosce, di cui nemmeno lei ha saputo darsi spiegazione. “Non so cosa gli passasse nel cervello” ha affermato, con la voce rotta dal pianto.
Ma non solo. Secondo quanto riferito in aula, sarebbe stata anche costretta a preparare la vasca da bagno per il tradizionale rito marocchino dell’hammam, con cui avrebbe dovuto massaggiare e lavare sia il marito che la donna che lui aveva sposato prima di lei con il rito islamico, che l’uomo aveva iniziato a frequentare davanti ai suoi occhi, sotto lo stesso tetto.
Le presunte violenze vanno avanti settimana dopo settimana, fino a quando lei non decide di chiedere aiuto al Centro Donna Giustizia. Lo fa al termine dell’ennesima aggressione, nata dopo che lui l’avrebbe presa con forza, messa in automobile e picchiata per portarla dall’avvocato per firmare le carte con cui lui le chiedeva il divorzio perché – stando al racconto dei fatti reso in aula – lei non avrebbe accettato di vivere con un’altra donna, né tantomeno di avere rapporti sessuali con tre suoi amici, come proposto dal marito.
Tra i due però sarebbe nato un dissidio dovuto al fatto che le carte che lui le vuol far firmare sono in italiano, lingua che non conosce, mentre lei le chiedeva in arabo o in francese. Così, una volta sotto l’ufficio dell’avvocato, l’uomo ingrana la retromarcia e torna a casa. È lì che la donna, sempre più esasperata, decide di recarsi al Centro Donna Giustizia, grazie all’aiuto di alcuni conoscenti che la indirizzano. Lì però fa l’accesso libero senza la documentazione necessaria, che gli viene chiesto di portare in un secondo momento, ma nel frangente in cui esce per reperirla, trova davanti a sé l’uomo in auto, che la riporta nuovamente nella loro abitazione.
Il calvario finisce il 10 novembre del 2020, quando al termine dell’ennesimo episodio, dopo averla malmenata, l’uomo l’avrebbe sbattuta fuori di casa mentre addosso ha ancora il pigiama. Con l’aiuto di un’amica, che le prenota e le paga una stanza, trova rifugio in un albergo della città e da lì compone il 1522, facendo nuovamente accesso al centro-antiviolenza, questa volta però denunciando un’emergenza.
Nel corso dell’udienza, oltre alla parte offesa, è stato sentito anche il carabiniere che aveva accompagnato la donna a riprendere i propri effetti personali nella casa in cui abitava con il marito, mentre nella prossima – fissata per il 21 giugno – sarà sentito sia l’imputato – difeso dal legale Enrico Zambardi – che la prima moglie di lui, che deporrà come testimone.
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