Un’illustrazione di Gualandi celebra 30 anni di riconoscimento Unesco per Ferrara
Mette in scena una narrazione storico-visiva di Ferrara l'illustrazione di Claudio Gualandi per celebrare la ricorrenza dei trent'anni del riconoscimento Unesco
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Niente pena detentiva e non punibilità per i giornalisti in caso di rettifica o smentita pubblicata con lo stesso rilievo della notizia ritenuta diffamatoria. Porta il nome del ferrarese Alberto Balboni come primo firmatario il disegno di legge presentato a Palazzo Madama che si propone di riformare la ormai vetusta legge sulla stampa, datata 1948.
Il testo si propone di modificare la disciplina del reato di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione (comprendendo quindi anche i social).
L’articolo 1 introduce l’estensione dell’applicazione di tale normativa anche ai quotidiani on line, ai telegiornali e giornali radio, dando forma scritta a una consuetudine che già prevedeva questa assimilazione.
Il punto focale è la riscrittura dell’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, per quanto concerne le rettifiche e le smentite. In caso di presunta diffamazione o di notizia rivelatasi falsa, il giornale può pubblicare, in maniera gratuita per la parte offesa, senza titolo e senza commento, con l’indicazione “Rettifica dell’interessato”, rettifiche e smentite nelle 24 ore successive. La smentita o rettifica deve avere lo stesso rilievo sulla testata della notizia cui fa riferimento.
L’articolo 11-bis prevede invece tre parametri di cui il giudice dovrà tener conto nella determinazione del danno derivante da diffamazione commessa con il mezzo della stampa: la diffusione quantitativa e la rilevanza (nazionale o locale) del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato; la gravità dell’offesa; l’effetto riparatorio della pubblicazione o della diffusione della rettifica o della smentita.
In sostanza, non è punibile la testata o il giornalista che fa “mea culpa” in tempo utile.
L’articolo 3 punta a riconoscere una sorta di diritto all’oblio del diffamato, riconoscendo alla persona offesa il diritto di ottenere l’eliminazione dai siti e dai motori di ricerca dei contenuti diffamatori e dei dati personali trattati in violazione di legge. Qualora, non dovesse essere dato seguito alle richieste dell’interessato, quest’ultimo potrà chiedere al giudice di ordinare la rimozione dei contenuti per i quali la richiesta era stata avanzata nei confronti del direttore o del responsabile dell’offesa.
In caso di querela temeraria l’articolo 6 introduce la facoltà per il giudice di condannare il querelante al pagamento di una somma da 2.000 euro a 10.000 euro in favore della casse delle ammende.
Per l’omesso controllo da parte del direttore della testata la relativa pena viene ridotta, mentre vengono aumentate le sanzioni pecuniarie per i giornalisti. Non andranno più in carcere (ipotesi ormai non più applicata da decenni) ma rischieranno di dover sborsare cifre molto più alte delle attuali. Se oggi, per la diffamazione a mezzo stampa, la multa prevista è di 250 euro (cui si aggiungono ovviamente, in caso di soccombenza, provvisionali e eventuali risarcimenti in sede civile), ora il reato è punito con una multa da 3.000 a 10.000 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della multa fino a 15.000.
Il ddl è frutto di un lavoro iniziato nella precedente legislatura e il senatore Balboni ha voluto mantenere il testo uscito dalla commissione Giustizia approvato all’unanimità. “Per me si tratta di una riforma rivoluzionaria – commenta a Estense.com -: da una parte salvaguarda i giornalisti che riconoscono un proprio errore e fanno, per così dire, un ravvedimento operoso; dall’altra eviterà di continuare a intasare i tribunali di tante querele che potrebbero trovare un più agile sbocco altrove”.
Il testo è ora al vaglio degli uffici di Palazzo Madama e presto dovrebbe finire in aula.
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