È morta a 84 anni, nella sua casa di Milano, l’architetto Gae Aulenti. La designer italiana, famosa in tutto il mondo, lascia però a Ferrara un ricordo indelebile. Quell’innovativo percorso espositivo che caratterizza oggi il Castello Estense di Ferrara.
Dopo la laurea al Politecnico di Milano nel 1953, Gae Aulenti si forma nella Milano degli anni Cinquanta, impegnandosi in quell’architettura tesa a recuperare il valore umanistico del passato salvaguardando al contempo l’ambiente circostante. Dal 1956 ha svolto la propria attività a Milano spaziando dalla progettazione architettonica, all’interior e industrial design, alla scenografia teatrale. Contemporaneamente porta avanti lezioni teoriche. Dal 1955 al 1965 fa parte della redazione di Casabella-Continuità sotto la direzione di Ernesto Nathan Rogers e sul fronte universitario è assistente prima di Giuseppe Samonà a Venezia e dopo di Ernesto Nathan Rogers a Milano.
Nel 1984 viene nominata corrispondente dell’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, mentre dal 1995 al 1996 è presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2005 ha costituito la Gae Aulenti Architetti Associati. Poco prima della sua scomparsa, lo scorso 16 ottobre, venne insignita del premio alla carriera consegnatole dalla Triennale.
Nel frattempo il suo lungo e prezioso curriculum si completa di progetti architettonici come la riqualificazione della Gare d’Orsay (Laloux) e allestimento del Museo d’Orsay a Parigi (dal 1980 all’‘86); l’allestimento – sempre nella capitale francese – del Museo Nazionale d’Arte moderna presso il Centro Pompidou; il Museo nazionale d’arte catalana di Barcellona; la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia; l’ingresso alla stazione di Santa Maria Novella dal piazzale Montelungo a Firenze; il padiglione italiano all’Expo ’92 di Siviglia; la ristrutturazione delle ex-scuderie papali al Quirinale; la realizzazione, nel 2006, della sede dell’Istituto di cultura italiano a Tokyo.
In mezzo c’è il grande dono che Gae Aulenti ha lasciato alla nostra città. Era il 13 marzo 2004 quando venne l’allora commissario della Commissione europea Romano Prodi a inaugurare il nuovo percorso espositivo concepito dall’artista milanese. A conclusione del restauro iniziato nel 2003, per la prima volta erano interamente accessibili al pubblico ben 42 sale del Castello (fino ad allora erano otto): dalle cucine fino alla torre medievale dei Leoni, attraverso le prigioni, le sale gotiche, i saloni rinascimentali, i giardini, i terrazzi, la sala del Governo, fino ai saloni ottocenteschi attraverso quel percorso concepito come – per usare le parole dell’architetto appena scomparsa – “un racconto da visitare”.
Gae Aulenti tornò in città nell’aprile del 2009 per “Città territorio festival”. “Sono nata in un periodo in cui ho potuto partecipare alla guerra partigiana – disse in quell’occasione al folto pubblico presente in sala Estense – piccoli incarichi, ma che mi sono serviti per capire la nostra storia e per crescere come persona che partecipa, correttamente, con altre, alla propria realtà”.
Sugli anni dell’università ricordò come “Milano all’inizio degli anni Cinquanta era una meraviglia e tutti noi eravamo pervasi da una grande energia con la consapevolezza che la ricostruzione era per tutti, non solo della città, ma per l’intera comunità. Al Politecnico eravamo cinquanta allievi, di cui soltanto due donne; oggi sono cinquemila e in maggioranza donne: bravissime, studiano di più e hanno interessi più ampi dei loro colleghi maschi”.
Sono poi seguiti gli anni della redazione di Casabella e l’incontro con Ernesto Rogers, il maestro attorno al quale è cresciuto un gruppo di professionisti di cui lei faceva parte. “Da Rogers – aveva ricordato Gae Aulenti nell’occasione – abbiamo ricevuto il fondamentale insegnamento ad essere prima intellettuali e poi architetti e la spinta a conoscere sempre nuovi Paesi e nuove realtà. Questo perché l’attività intellettuale ha come base la curiosità, che è sempre un buon modo per fare il proprio lavoro”.
“All’estero – aggiunse – alla base di ogni progetto c’è una programmazione straordinaria che rimane definita nel tempo e a fronte di qualsiasi cambiamento: lo stesso non avviene invece in Italia, dove non si conosce mai con precisione l’ammontare dei finanziamenti e dove i mutamenti politici producono talora vere e proprie rivoluzioni nei programmi iniziali”.
E in quel frangente disse qualcosa che letto oggi sembra davvero profetico. “I metodi di costruzione con funzioni antisismiche esistono. E anche l’Italia li conosce, tanto che li richiede nel piano di manutenzione da allegare alla stesura del progetto. Salvo che all’estero poi il piano viene richiesto e diventa condizione per l’affidamento del lavoro, in Italia no. Anche in questo caso è un problema di regole, che esistono ma non vengono rispettate”.
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