Lettere al Direttore
26 Novembre 2025

Assessore e assessora: chi ha ragione?

di Redazione | 2 min

In un recente intervento Marzia Marchi ha stigmatizzato  l’uso del termine “assessore” in luogo di “assessora”. Tale uso costituirebbe addirittura un grave errore, compiuto “in spregio della grammatica”.

A parte le considerazioni di natura politica, rilevo che siamo in presenza di una affermazione priva di fondamento, perchè l’uso del termine “assessore”, con valenza anche femminile, è forse non auspicabile ma certamente legittimo.

Secondo il dizionario curato dal prof. Enrico Olivetti (www.dizionario-italiano.it), ad esempio, il termine “assessore” è un sostantivo maschile ma può essere usato “anche con riferimento a donna”.

Il dizionario De Mauro, poi, alla voce “assessora” indica il termine come “s.f.,scherz..” (sosostantivo femminile, scherzoso).

E il “Grande Dizionario Italiano” di Aldo Gabrielli manco riporta la voce “assessora”, approdata solo di recente nel linguaggio comune.

E’ vero che molte grammatiche moderne consigliano (non impongono) l’uso del vocabolo “assessora”, ormai entrato nell’uso prevalente, ma considerare un errore da matita blu l’uso del maschile con riferimento a una donna non mi sembra corretto.

Se poi si afferma, come fa la Marchi (già docente…), che l’uso del termine “assessore” avverrebbe addirittura “in spregio della grammatica”, mi sembra che l’asserzione non tenga conto di ciò che dicono gli studiosi della lingua italiana, che certamente si è evoluta ma lascia spazio a un dibattito che deve essere aperto e non preclusivo o dogmatico.

A proposito di “assessore”, l’accezione più comune è la seguente : “membro di una giunta comunale, provinciale o regionale”.

Secondo la Marchi dovremmo dire “membra” (al femminile) anzichè “membro”? E, per allargare il discorso, dovremmo dire “sergenta”, “muratora”, “fabbra” o “falegnama”?

Aggiungo, da uomo, che vi sono anche sostantivi femminili usati per i maschi. Mi chiedo allora, con una provocazione linguistica, se sia  giusto dire che Tizio, di mestiere, fa “la  guardia giurata”.  Si tratterebbe forse di un esempio rovesciato di discriminazione? E noi uomini dovremmo dunque reclamare l’uso del maschile (“il guardio”)?

Sergio Magri

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