Attualità
23 Novembre 2025
Una storia di riscatto e dignità grazie all'impegno del Centro Donna Giustizia e Arcigay: ecco cosa significa tutelare gli ultimi della società

Ferrara e la tutela delle persone trans: il racconto di Carla Alves

di Elena Coatti | 4 min

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Quando Carla Alves lasciò il Brasile, vent’anni fa, fuggiva da violenza, discriminazione e povertà. Cercava una possibilità di vivere senza paura. Come molte donne trans latinoamericane, vedeva nell’Europa un luogo dove ricominciare. Ma il viaggio, segnato da vulnerabilità e assenza di tutele, l’ha condotta prima sulla strada e poi in carcere, otto anni che hanno segnato profondamente la sua vita. “Mi ero persa – racconta oggi -. Non volevo tornare in Brasile, ma qui non avevo più niente”.

La sua testimonianza è stata filo conduttore dell’incontro organizzato da Arcigay Ferrara in occasione del Transgender Day of Remembrance, la giornata internazionale che ricorda le persone trans uccise nel mondo. Un momento di memoria, ma anche di analisi e denuncia sociale, in cui la storia di Carla è diventata simbolo dell’impatto che i servizi di supporto possono avere sulle vite più marginalizzate.

Quando Carla è uscita dal carcere, viveva in una totale assenza di prospettiva. Non poteva rientrare in Brasile e non aveva ancora un rete di sostegno. Grazie ad alcune associazioni Lgbtqia+ a Firenze, è entrata in contatto con Arcigay Ferrara, che a sua volta ha attivato il Centro Donna Giustizia. È qui che il suo percorso ha iniziato a cambiare. “Mi hanno ascoltata, mi hanno guidata, mi hanno restituito dignità”, racconta.

Durante l’incontro, Carlotta Rossi, operatrice storica del Cdg, ha raccontato nel dettaglio il lavoro del Centro e la scelta, non scontata, di aprirsi negli ultimi anni anche alle donne trans. Il Centro, nato negli anni Ottanta come luogo di ascolto e tutela per donne vittime di violenza familiare, è cresciuto fino a diventare un punto di riferimento fondamentale per la protezione delle persone vittime di violenza, tratta e sfruttamento, sia sessuale che lavorativo. Con progetti dedicati e case protette, il Centro accompagna chi arriva nella costruzione della propria vita, offrendo accoglienza, tutela legale, sostegno psicologico, alfabetizzazione, orientamento al lavoro.

Grazie all’impegno delle operatrici del Centro, Carla ha potuto regolarizzare la sua posizione e ottenere una base solida da cui ripartire. Oggi vive in un appartamento sicuro, ha costruito una rete sociale e lavora per un’agenzia pubblicitaria di Cento. “Adesso cammino a testa alta. Non devo più nascondermi. So di avere dei diritti”, ha raccontato con emozione.

Carlotta Rossi ha poi spiegato quanto sia stato importante, per il Centro, non solo riconoscersi come realtà femminista, ma anche transfemminista. “Le donne trans affrontano vulnerabilità sovrapposte: stigmatizzazione, razzismo, precarietà, mancanza di riconoscimento. Aprire le nostre porte era necessario. Non per ‘salvarle’, ma per restituire loro strumenti e diritti”. Ha sottolineato anche che il Centro non impone percorsi predefiniti: c’è chi desidera cambiare totalmente vita e chi vuole continuare a svolgere sex work in autonomia. “Il nostro compito è rendere le persone libere e non ricattabili, non decidere per loro”.

L’incontro ha toccato anche il contesto più ampio, definito da dati allarmanti. Ogni anno, secondo osservatori internazionali, centinaia di persone trans vengono uccise in tutto il mondo, e in larga parte si tratta di donne trans nere, migranti e sex worker. Una violenza che non si limita alle aggressioni fisiche, ma si estende alla discriminazione istituzionale, alla mancanza di servizi sanitari adeguati, al rifiuto lavorativo basato sull’incongruenza tra documenti e identità. A Ferrara, ad esempio, come ha ricordato Giacomo Catucci, presidente di Arcigay Ferrara, non esiste ancora un servizio sanitario pubblico dedicato alle persone trans, costringendo chi intraprende un percorso di transizione a spostarsi in altre città.

Rossi ha poi espresso forte preoccupazione anche per il recente taglio dei fondi regionali destinati alle Unità di strada, servizi fondamentali di prevenzione sanitaria e contatto diretto con le persone che lavorano in strada. “Quando si tagliano risorse ai territori, il prezzo lo pagano sempre gli ultimi. E tra gli ultimi ci sono, ancora una volta, le donne trans migranti”.

Il racconto di Carla è tornato più volte come esempio concreto di ciò che significa avere, o non avere, accesso a tutele adeguate. A Ferrara, grazie a un’intensa collaborazione tra associazioni, operatrici e sportelli specializzati, è stato possibile costruire un modello di accoglienza anche parte dall’ascolto e restituisce autonomia. “Le istituzioni devono fare la loro parte – è stato ribadito con forza -, ma intanto ci siamo noi, ogni giorno, a garantire che nessuna persona sia lasciata sola”.

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