Gentile redazione,
scrivo per richiamare la vostra attenzione su un episodio che travalica la semplice cronaca locale e si configura come un sintomo allarmante di regressione etica e politica nel cuore di una democrazia europea avanzata.
Il Sindaco Alan Fabbri, esponente di spicco della destra italiana, ha recentemente disposto l’allontanamento di alcuni individui senza fissa dimora dal centro storico cittadino attraverso l’impiego del DASPO urbano, una misura di sicurezza concepita per contrastare la violenza e il teppismo negli stadi.
L’azione, per sua natura controversa, è stata successivamente promossa con enfasi sui canali istituzionali e personali del Sindaco, elevando la vulnerabilità umana a minaccia per il “decoro urbano” e la povertà a oggetto di rimozione coatta, anziché di intervento sociale.
Questo gesto ha innescato una virulenta ondata di commenti sui social media, caratterizzati da un linguaggio di inaudita violenza e disumanizzazione, dove gli individui senza tetto vengono definiti apertamente “spazzatura”, “cancro” o “feccia”.
Questo clima non riflette più i principi di dignità e solidarietà sanciti dalla Costituzione Italiana, ma piuttosto il dilagare di una narrativa sociale alimentata da rancore e sistematica propaganda.
La gravità dell’accaduto è amplificata dalle crescenti indiscrezioni circa una potenziale candidatura di Fabbri al Parlamento nazionale. Qualora queste voci trovassero conferma, l’episodio di Ferrara si configurerebbe come un chiaro e grave caso di strumentalizzazione politica della povertà estrema a fini di visibilità elettorale. Una simile strategia, che costruisce consenso sul disprezzo del più debole, non è degna di una carica istituzionale.
A fronte di questo scenario, è imperativo smantellare il cavallo di battaglia retorico utilizzato per neutralizzare il dibattito: la frase “Se ti fanno pena, portateli a casa tua”.Questa argomentazione, superficiale e disfattista, tradisce un profondo fallimento civico: Rappresenta l’abdicazione al concetto fondamentale di responsabilità collettiva. Contraddice il dettato costituzionale, in particolare l’Articolo 2 della Repubblica Italiana, che impone il dovere inderogabile della solidarietà politica, economica e sociale.
Riduce la complessa questione sociale a un problema di carità privata, negando il ruolo centrale dello Stato e delle Istituzioni nella tutela dei diritti inalienabili di ogni cittadino. Il punto centrale non risiede in chi debba farsi carico individualmente di queste persone, ma nel fatto che lo Stato non può permettersi il lusso morale di abbandonare al freddo, all’emarginazione e alla pubblica derisione.La misura della civiltà di una società non si valuta dalla sua capacità di nascondere o espellere la povertà, ma dal modo in cui tratta i suoi membri più fragili.
La testata Estense.com possiede l’autorevolezza e la risonanza globale necessarie per illuminare vicende che rischiano di essere oscurate da una tossica narrazione di “decoro”. Vi esorto pertanto a non confinare questa storia a una polemica locale, ma a esporla per ciò che è: un caso emblematico di crisi dei valori fondamentali in una democrazia occidentale. Perché la dignità umana è un diritto universale e inalienabile che non può e non deve essere soggetto a revoca per mancanza di domicilio.
Con osservanza,
Roberto Baldisserotto