“Ombra di tutti” è il titolo di un progetto artistico di Patrizio Raso: il punto di avvio del lavoro è Milano, ma l’artista ha attraversato in questi anni tutta la penisola (da nord a sud), per mettere insieme frammenti di storie diverse, al cui interno trova spazio anche una vicenda ferrarese.
Dopo 5 anni di lavoro il progetto è stato presentato venerdì scorso nell’incontro “Intrecci di memoria” presso la sala Alessi di Palazzo Marino (Milano).
“L’ombra” del titolo fa riferimento all’ombra del monumento che si trova, dall’aprile 1977, davanti l’università Bocconi: un maglio imponente di 50 tonnellate, posizionato nel luogo in cui il 23 gennaio 1973 è stato colpito dalle forze dell’ordine Roberto Franceschi – che morirà pochi giorni dopo.
Si deve proprio alla Fondazione Franceschi la realizzazione del progetto di Raso: partendo dal montgomery di Roberto (donatogli dalla famiglia) l’artista ha raccolto abiti di altre 150 persone, protagoniste di vicende diverse tra loro.
I materiali sono stati intrecciati e ora ricalcano l’ombra che Raso “ha preso” del maglio, formando quindi un testo nuovo, col quale possiamo provare a rileggere la recente storia italiana.
A Palazzo Marino erano presenti alcuni di quelli che hanno partecipato al progetto (familiari di vittime di vicende lontane e diverse come lo stragismo, le manifestazioni di piazza, la mafia): la nipote di Peppino Impastato, le figlie di Giuseppe Pinelli, la figlia di Walter Tobagi, l’avvocata della famiglia Regeni (Alessandra Ballerini), i genitori di Giulio Regeni, la sorella di Carlo Giuliani e molti altri.
“In questa sala c’è un dolore immenso”, ha detto Benedetta Tobagi nel suo intervento. L’elenco parziale dei presenti (che abbiamo appena fatto) lo testimonia.
I parenti delle vittime hanno raccontato il modo in cui hanno partecipato al lavoro e cosa hanno donato del proprio familiare (per esempio la sciarpa di Walter Tobagi, un lembo della divisa militare di Peppino Impastato). Privarsi di un oggetto legato a un caro, scomparso tragicamente, ha significato ricomporre quella storia in una storia più ampia, quella del nostro paese.
Attraverso la proiezione dei filmati girati nel corso di questi anni (Raso ha condotto 25 workshop in giro per l’Italia) hanno preso la parola anche altri protagonisti: come per esempio Haidi Giuliani, che ha raccontato della maglietta dei Nirvana di Carlo; in un altro filmato si vede invece il fazzoletto rosso e nero di Giuseppe Pinelli, donato da Claudia e Silvia.
In apertura abbiamo detto che nel progetto c’è anche un pezzo della nostra città: è stato Francesco Ganzaroli, a nome del centro sociale La Resistenza, a raccontare la storia di Mattia, originario di Taranto passato per l’università di Ferrara, dove ha partecipato al movimento studentesco. Mattia è morto in un incidente stradale, nel 2017. C’è la sua camicia, collo alla coreana, nel lavoro di Raso.
Durante l’incontro ci sono stati anche altri interventi e sono nomi che vogliamo citare, perché forse poco presenti nel nostro immaginario: Vincenzo Chindamo, fratello di Maria Chindamo (vittima della ’ndrangheta), Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci (membro della scorta di Aldo Moro), don Pino De Masi (referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro), John Mpaliza (referente della rete “Insieme per la pace in Congo”).
La commozione in sala era concreta. Ma è stata Alessandra Ballerini, in un intervento molto ampio (in cui ha toccato la storia di Giulio Regeni, quella di Carlo Giuliani e le storie quotidiane del Mediterraneo) a puntualizzare che il progetto non vuole essere una rievocazione passiva. I protagonisti di questo lavoro “non sono vittime, ma artefici”, così si è espressa.
“Il nostro paese ha un problema con la verità”, è stato detto. E poco dopo: “ci deve ripugnare che non si possa fare giustizia”. E non c’è abbaglio più grande di chi ritiene che “i senza potere siano impotenti”.
Non si è trattato, lo si vede bene da questi veloci passaggi, di una semplice commemorazione.
A partire dalla vicenda di Roberto Franceschi il progetto unisce, come abbiamo detto, molte altre storie: nella tessitura dell’abito collettivo trovano così spazio il cappotto di Licia Rognini Pinelli, la camicia di Maria Chindamo, un paio di pantaloni di Gino Strada, il cordoncino che chiudeva un faldone di atti processuali per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, la sciarpa di Claudio Varalli, la camicia di Fausto Tinelli, un vestito di Lydia Franceschi e una cravatta del marito Mario Franceschi ( sono i genitori di Roberto) – e moltissimi altri.
Una compresenza ricchissima di vicende e storie. E in tutto questo, venerdì pomeriggio a Palazzo Marino, è uscita “dall’ ombra” anche un’altra vicenda legata alla città di Ferrara: di fianco a Francesco Ganzaroli sul palco c’era infatti Luca Greco, a nome del comitato Federico Aldrovandi.
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