Cronaca
19 Novembre 2025
Archiviata l'inchiesta nata dall'esposto presentato dal fidanzato della 41enne Maria Vittoria Mastella, paziente oncologica morta al Sant'Anna

Sedata senza consenso. “Nessuna responsabilità dei sanitari”

di Redazione | 4 min

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Si chiude con un’archiviazione l’inchiesta aperta per la morte della 41enne Maria Vittoria Mastella, paziente oncologica che era stata sottoposta a un trattamento di sedazione palliativa fino all’ultimo giorno di vita, senza che però – secondo la denuncia del compagno Davide Merchiori – avesse mai ricevuto informazioni sullo stato della malattia e nemmeno avesse esplicitamente fornito il proprio consenso per eseguire su di lei quella pratica terapeutica, quando ancora era cosciente

Dopo l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dall’avvocato Fabio Nicolicchia infatti, legale che assiste il fidanzato della donna, nelle scorse ore, l’ordinanza del gip Giovanni Solinas del tribunale di Ferrara ha messo la parole fine sulla vicenda, successa all’ospedale Sant’Anna di Cona, dove la paziente era ricoverata da oltre un mese, a seguito di un collasso polmonare successivo alla diagnosi di adenocarcinoma ai polmoni che alla 41enne fu comunicata a novembre 2023.

Dopo la morte della ragazza, avvenuta il 12 luglio di due anni fa, a seguito di quattro giorni di sedazione alimentata, da cui non si risvegliò più, il fidanzato aveva presentato un esposto alla Procura di Ferrara in cui aveva chiesto di accertare la legittimità delle pratiche palliative utilizzate dai sanitari di Cona, ma il pubblico ministero – dopo aver fatto eseguire una consulenza tecnica – aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo di indagine aperto per omicidio colposo contro ignoti.

Una consulenza in cui però – così nella richiesta di archiviazione – il medico legale scriveva che “è possibile affermare che non si sono ravvisati profili di imperizia, nonostante la mancanza di un chiaro consenso riportato nella cartella alla sedazione palliativa continua, che verosimilmente è stato desunto dai sanitari in conseguenza delle continue richieste da parte della paziente di dosaggi aggiuntivi di terapia antalgica (del dolore, ndr) e di aumentare i flussi di ossigenoterapia in corso”.

Nonostante ciò, per la Procura di Ferrara nulla aveva lasciato spazio a eventuali ipotesi di reato, essendo stato accertato che il decesso era “avvenuto per cause non imputabili a condotte penalmente rilevanti di terze persone“.

Il compagno aveva fatto opposizione chiedendo l’imputazione coatta – per omicidio o violenza privata – a carico dei sanitari dell’ospedale di Cona che presero in carico la donna o, in subordine, un supplemento di indagine con l’effettuazione di una consulenza tecnica di uno specialista in cure palliative e l’audizione di una serie di persone – famigliari, amici e medici – informate sui fatti.

Maria Vittoria infatti – secondo il racconto fatto dal fidanzato nella denuncia – non ha mai saputo che di lì a poco se ne sarebbe andata.

Ma alla fine il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’archiviazione. Nell’ordinanza, quanto all’ipotesi di omicidio colposo, il gip sottolinea che “non si ravvisa alcuna responsabilità (sia in fase diagnostica che di cura) nel comportamento dei sanitari” che avevano assistito Maria Vittoria, morta a causa “delle complicanze della grave patologia oncologica da cui era affetta”.

Successivamente il giudice aggiunge: “Veniva, peraltro, precisato dai consulenti tecnici che il comportamento dei sanitari (corretto e non imperito) non aveva determinato alcun accorciamento della vita della paziente e che alcun diverso comportamento avrebbe influito sul decorso e sull’exitus della malattia. Anche lo stesso consulente tecnico di parte – in alcun punto della propria consulenza – evidenzia che diverse cure avrebbero in qualche modo inciso sull’exitus della paziente”.

Astrattamente, con riferimento al mancato consenso alle cure palliative o, comunque, a trattamenti alternativi, il giudice per le indagini preliminari osserva che “potrebbe sussistere” il delitto di violenza privata, un reato procedibile solo a querela da parte della persona offesa. La paziente però, per ovvi motivi, non ha potuto presentarla prima di morire, con conseguente improcedibilità, poiché la morte della persona offesa, precisa il gip, “estingue il diritto di querela che non può essere presentato dai prossimi congiunti”.

In ogni caso, comunque, il giudice precisa che “pacificamente, il decesso della persona offesa non è, in alcun modo, conseguenza della condotta di violenza privata, derivando, appunto, dalla malattia della donna“.

“È un provvedimento – commenta l’avvocato Fabio Nicolicchia – che non ci lascia contenti per l’esito processuale specifico della vicenda. Il fatto però che il giudice, seppur astrattamente, abbia evidenziato che potrebbe sussistere il delitto di violenza privata, seppur improcedibile per motivi procedurali, è un riconoscimento che apre la strada a eventuali ulteriori approfondimenti a livello investigativo che ci potrebbero portare a valutare altre azioni di contrasto a quanto deciso, soprattutto sul versante civilistico“.

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